Copertina del libro |
Il
1848 fu un anno particolare per la Sicilia: fu l’anno dei moti contro la
tirannia di re Ferdinando II di Borbone. In questa situazione si svolse una
delle più efferate stragi sulle quali le autorità si affrettarono a stendere un
velo di silenzio: la strage di Porto Empedocle (AG), avvenuta nella notte tra
il 25 gennaio e il 26 gennaio del 1848 nella Torre di Carlo V che, sotto il
regno Borbonico, venne utilizzata come prigione. Oggi è adibita a centro artistico
- culturale.
Alla
Torre è legata la pagina più nera della storia di Porto Empedocle, poiché fu teatro
del massacro di 114 detenuti inermi, reso noto dal celebre scrittore Andrea
Camilleri nel romanzo “La strage dimenticata” (Sellerio) dove l’autore, traendo
spunto dalle cronache di Baldassare Marullo e dai racconti della nonna
Carolina, ricostruisce l’eccidio di 114 detenuti nell’antica Torre della
Borgata Molo, vecchio nome di Porto Empedocle, soppressi nel 1848 nel timore
che si unissero ai rivoltosi anti-borbonici. Alla fine del libro sono elencati
centoquattordici nomi che non compaiono in nessuna lapide del nostro
risorgimento, centoquattordici caduti nella rivolta del 1848 in Sicilia.
Torre di Carlo V (Porto Empedocle) |
In
questo modo il maggiore borbonico Ignazio Sarzana (comandante molo di Girgenti)
si liberò in un sol colpo di 114 detenuti, soffocandoli e bruciandoli vivi in
una cella comune. Tra questi detenuti persero la vita anche tre uomini barresi: BONINCONTRO GIUSEPPE di 48 anni (al
numero 15 dell’elenco), D'ANGELO
BENEDETTO di 29 anni (al numero 35 dell’elenco), RINALDI GIOVANNI di 33 anni (al numero 88 dell’elenco), trucidati senza sapere che era
scoppiato un '48.
I
114 detenuti, che per molti studiosi erano di più, furono uccisi perché,
essendo scoppiata la rivolta a Palermo ed essendoci alcuni familiari dinanzi
alla torre che ne reclamavano la libertà, il maggiore Sarzana per evitare la
rivolta, ordinò di metterli assieme nella fossa comune. Per impedire poi che le
loro grida si sentissero fuori, fece chiudere l’unica presa d’aria della fossa,
non prima di aver fatto gettare dentro tre petardi. Fumo e mancanza d’aria
soffocarono gli sventurati. Fu una strage orrenda. Lasciamo la parola allo
scrittore Camilleri: «Il maggiore Emanuele Sarzana comandava il presidio della
Torre alla Borgata Molo.
Elenco morti |
Giorno
25 gennaio 1948 arrivò la notizia che De Majo se ne era andato dal palazzo
reale di Palermo e che De Sauget con i suoi cinquemila soldati stava
faticosamente ritirandosi su Messina. (...) Sicché a rappresentare il regno
borbonico in Sicilia rimanevano il forte di Castellammare, la Cittadella di
Messina, la Torre della Borgata Molo, e qualche altra fortificazione sparsa,
che praticamente non erano in condizioni di svolgere un’azione comune, ammesso
che ne avessero sentito la voglia. I borbonici rimasti in Sicilia erano in
sostanza degli assediati. E a rendere concreto l’assedio, al tramonto del
giorno 25, una folla di un centinaio di persone si spinge, vociando, sotto le
mura della Torre. È sbagliato credere che gli abitanti marinari della Borgata
avessero deciso che il vento della rivoluzione teneva: in mezzo a quella gente
i borgatanti veri e propri saranno stati una trentina, la maggior parte dei
quali “saccaroli”, vale a dire trasportatori di sacchi, quelli che in paese
svolgevano il lavoro più duro ed erano i meno pagati. “In quei giorni erano
arrivati molti forastieri” contava mia nonna. E si spiega: parenti e amici
avevano avuto tutto il tempo di correre dai loro paesi alla Borgata per
organizzare la liberazione dei forzati, e molti di questi forestieri,
approfittando dell’ammaino generale, erano arrivati armati (…)
Elenco morti |
Quando i
carcerati sentono le voci da fuori, eccitatissimi, non sapendo precisamente
quello che sta succedendo ma comprendendo che comunque sia qualcosa si muove a
loro favore, si mettono a fare un gran chiasso. Di fronte a questa situazione,
Sarzana, contrariamente a quanto pensa Marullo, non perdette la testa. Capì
subito che se tutti gli uomini gli servivano per parare il pericolo esterno,
bisognava che a sorvegliare i carcerati non restasse manco un soldato. Ordinò
quindi che a botte, a colpi di calcio di fucile, a catenate, tutti i forzati
sparsi per la Torre fossero obbligati a calarsi nella fossa comune (…) Lì
ammucchiati i carcerati iniziano a ribellarsi e far baccano. I soldati allora
isolano l’unica via d’uscita, la scala che era dentro al cilindro. Ciò
significava chiudere l’unica presa d’aria della fossa comune (…) Inizia una
sparatoria tra i soldati e la folla fuori la torre. La sparatoria si allunga
nel tempo. Questo basta però perché i forzati nella fossa vengono a trovarsi
senza aria. I forzati allora fanno voce da disperati e si accalcano, tanto da
dar pressione alla grata (…) Il maggiore capisce il pericolo e l’unica cosa da
fare è alleregire il peso che versa sulla grata. Così comanda ai suoi soldati
di lanciare tre petardi nella fossa e di isolare di nuovo la scala. Capisce
che, così facendo viene a mettersi in una botte di ferro: se i carcerari muoiano,
nessuno potrà sostenere che in lì c’era una volontà di fare una strage (…)».
Il
danno è compiuto: 114 detenuti muoiono. Ancora più grave della strage, fu il
silenzio delle autorità dell’epoca che occultarono la sorte tragica di questa
povera gente. Gli assassini e i complici silenziosi fecero la loro carriera
sotto i Borbone prima, e poi nell’Italia unita. Il maggiore Sarzana fu promosso
e trasferito al comando della piazza militare di Licata, come governatore del
real Castello a mare S. Giacomo.
(Fonti:
Andrea Camilleri, La strage dimenticata, Sellerio Editore, Palermo 1984;
www.agrigentoierieoggi. it). (Foto e materiale sono soggetti a copyright)
RITA BEVILACQUA