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Entrata del cimitero di Barrafranca |
Il 02 novembre ricorre la “Commemorazione
dei defunti” o, com'è chiamata in Sicilia, LA FESTA DEI MORTI. L’origine è molto antica. Questa
ricorrenza la ritroviamo già presso gli antichi romani. Questi dedicavano, non
un giorno, bensì nove giorni dedicati al ricordo dei loro defunti: dal 13 al 21
di febbraio, ultimo mese del calendario romano. Questi giorni erano
chiamati Feralia (dal latino fero, fers) perché, durante
questi giorni, i vivi portavano delle offerte ai defunti. I riti servivano a
placare gli spiriti dei defunti nei confronti dei vivi con l’aiuto degli Dei
Mani. L’offerta votiva poteva essere lasciata dentro una ciotola in mezzo alla
via. In questo periodo non si poteva contrarre matrimonio. Con
l’affermarsi della nuova religione cristiana, la Chiesa cercò di cancellare le
antiche feste “pagane”, cioè appartenenti a religioni precedenti, non abolendole,
ma appropriandosene, riconducendole nel proprio ambito e mantenendone vivi solo
la data, ma in parte anche il significato. Molti studiosi hanno evidenziato che
questa ricorrenza derivi dal “Capodanno Celtico”, che coincideva con il giorno
di tutti i santi. In quel giorno, uomini mascherati andavano in giro cantando,
nella lingua locale, una canzone detta Hogmanay che cominciava:
Stanotte è il primo dell’anno. Hogunnaa! (J.G. Frazer, Il ramo d’oro). Per
non snaturare le caratteristiche di “festa dei morti” dell’antico Capodanno
Celtico, prendendo atto che comunque il popolo (e in larga parte anche il
clero) continuava a conservarle, la Chiesa poi dedicò il giorno successivo, 2
novembre, alla Commemorazione dei defunti: fu Odilone di Cluny, nel 998, a
ordinare ai Cenobi dipendenti dell’abbazia di celebrare l’ufficio dei defunti
dal vespro del primo di novembre, mentre il giorno seguente i sacerdoti
avrebbero offerto al Signore l’Eucarestia "pro requie omnium defunctorum". Il
rito poi si diffuse a poco a poco al resto d’Europa, giungendo a Roma solo nel
XIV secolo. (Eraldo Baldini, "La festa di Halloween in Romagna e nella Padania:
moda importata o tradizione millenaria?", appendice a "Romagna Celtica" di
Anselmo Calvetti).
A
Barrafranca (EN), come nel resto della Sicilia, la festa dei Morti, è
molto sentita ed è caratterizzata da particolari tradizioni. Tradizione
vuole che, in questo giorno, ogni cappella, ogni lapide sia adorna di fiori e
lumini.
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Cimitero adorno di crisantemi (foto web) |
Accanto ai tradizionali "crisantemi", i fiori
tipici da portare ai defunti, il cimitero è adorno ormai di tutti i tipi di
fiori: dalla rosa al lilium, all'orchidea. Nei tempi passati, il popolo
portava ai loro cari defunti fiori semplici, non ricercati, comuni, dovendo
essere una semplice testimonianza del pensiero per l'estinto. I fiori più
comuni che si trovavano ai primi di novembre erano proprio i crisantemi
e le margherite.
Una
tradizione molto antica, tipica siciliana, è il "regalo dei Morti",
ossia il regalo che, la notte tra l'uno e il due novembre, i cari defunti
portano ai bambini sempre se questi si fossero comportati bene durante l'anno. La tradizione vuole che
in questo giorno i defunti, avendo voglia di rivedere i loro famigliari, abbiano
l’opportunità di uscire dalle loro tombe e di andare, mentre tutti dormono,
nelle case dei famigliari a visitarli e a lasciare dei doni ai bimbi.
Come
racconta lo storico e antropologo Giuseppe Pitrè, in quella notte immense flotte di spiriti
vagano per i paesi alla ricerca delle case dei loro cari, pronti a lasciare ai
più piccoli, anime pure, i doni. Nel loro viaggio, i morti seguono un ordine
ben preciso: prima coloro che morirono di morte naturale, poi i giustiziati, i
disgraziati (morti per disgrazia loro incolta), i morti di subito (cioè
repentinamente) e via di questo passo. Nessun umano li deve vedere, pena la
morte del curioso.
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Processione dei morti (foto web) |
Particolare la descrizione che il Pitrè ci fornisce di
com'erano "questi morti": in alcuni paesi siciliani si racconta che
fossero vestiti di bianco, in altri si dice camminano lenti perché hanno il
teschio più pesante rispetto al collo, in altri che hanno un collo in fil di
ferro. Questa
tradizione trae origine da credenze pagane sopravvissute fino all’alto
medioevo. La letteratura medievale dei "mirabilia" è particolarmente ricca di racconti relativi
ad apparizioni degli spiriti dei defunti ai vivi. Nella
società medievale la forma di esistenza che si attribuisce agli spiriti dei
morti dipende dallo svolgimento del «rito di passaggio» della morte: i morti
ritornano quando i cerimoniali funebri non si sono potuti svolgere
adeguatamente, in caso di morte violenta, di suicidi, donne morte di parto,
bambini non battezzati, briganti, criminali insepolti. La credenza negli
spiriti trae inoltre origine dal culto dei morti proprio del tessuto culturale
precristiano, sia di matrice greco-romana che germanico-celtica La Chiesa
alto medievale si preoccupava molto della credenza secondo cui i morti possono
tornare a visitare i vivi, in quanto incarnava una delle sopravvivenze del
paganesimo e, a partire dal XI secolo, dimostrò una decisa volontà verso la
cristianizzazione del residuo pagano del culto dei morti. Tra 1024 e 1033 Cluny
istituì, in data 2 novembre, la festa dei Morti, strategicamente collocata
il giorno successivo di Ognissanti. La celebrazione conobbe subito una grande
fortuna e velocemente si impose in tutta la cristianità occidentale come il
momento chiave della commemorazione liturgica dei morti.
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"Pupi di zucchero" |
Ritornando
alla tradizione popolare, non c’era bambino che la mattina del 2 novembre,
impaziente di cercare, non andasse in giro per casa il regalo dei morti,
nascosto con astuzia dalle madri, in posti meno sospettosi. Si rovistava anche
nei posti più strani della casa, finché non saltava fuori il regalo. Il Pitrè,
nel descrivere la festa dei morti in Sicilia, riporta una preghiera che era
recitata proprio la mattina della festa dei morti, mentre si cercavano i
regali: Armi santi, armi santi, io sugnu uno e vuatri siti tanti:
mentri sugnu 'ntra stu munnu di guai, cosi di morti mittitiminni assai. (Anime
sante, anime sante, io sono uno e voi siete tanti; mentre sono in questo mondo
di guai regali dei morti mettetene in abbondanza).
Lo scrittore siciliano Andrea
Camilleri descrive in questo modo questa tradizione: "Fino al 1943, nella
nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove
c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col
linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno
spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto,
consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono
stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi
nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di
vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che
nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo
trovato il 2 mattina, al risveglio". (Tratto da: Racconti quotidiani)
In cosa
consisteva il tanto atteso il regalo dei Morti? Questo poteva essere un
vassoio di dolci, di frutta, oppure giocattoli o abiti.
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Cesto con taralli e frutta Martorana |
Anni fa a Barrafranca si regalavano, in cesti abbelliti con carta velina
colorata, frutta di stagione: melagrane, melacotogne, fichi secchi,
noci, mandorle e nocciole, oltre ai "pupi di zucchero",
considerati dal Pitrè come "i dolci del basso volgo", regalati dalle
famiglie più povere. Questi potevano avere la forma di guerrieri a cavallo,
signore, trombe. Alle fidanzate invece si regalava un cestino con "frutta
Martorana", tipico dolce siciliano realizzato impastando farina di
mandorle e zucchero e modellato a forma di frutta e di ortaggi. Secondo la
tradizione, questo dolce deve il suo nome alla Chiesa di Santa Maria
dell'Ammiraglio o della Martorana. Si racconta che, per abbellire il
monastero per la visita papale, le monache, in mancanza dei frutti del loro
orto, crearono nuovi frutti con mandorla e zucchero. Negli anni’ 50
s’iniziarono a regalare i primi giochi, realizzati in legno o, per le
famiglie più ricche, i giochi di latta. Alle femminucce le bambole di
pezza, realizzante dalle mamme o dalle nonne e ogni anno, per il giorno dei
morti, i defunti portavano una veste nuova. In questi giorni non c’è barrese
che non mangi i "taralli", quelle dolci e gustose prelibatezze
ricoperte di glassa bianca o al cioccolato, tipiche di Barrafranca. I simboli
sono chiari: la glassa nera rappresenta la morte, quella bianchi la vita. Oltre
ai taralli vengono consumati i "totò", più piccoli, ma
anch'essi gustosi, realizzati solo al cioccolato.
RITA BEVILACQUA