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La
Pasqua fa parte di quelle feste cristiane che non hanno una data fissa. Essa
varia di anno in anno secondo un preciso calcolo: essa ricorre la domenica
successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Da dove origina
questo calcolo? Innanzitutto dobbiamo dire che la Pasqua cristiana deriva dalla
Pasqua ebraica «La Pasqua ebraica e quella cristiana avevano in comune il tema
della festa, l’attesa di una liberazione futura, per i cristiani ovviamente
intesa come ritorno di Cristo» (Christoph Markschies, In cammino tra due mondi:
strutture del cristianesimo antico). Così, in Asia minore, le prime comunità
cristiane festeggiavano la resurrezione di Cristo a partire dal 14 Nisan, con
un digiuno, che durava fino al mattino successivo e la stessa sera veniva letto
il racconto della Pasqua descritto nel libro dell’Esodo (Es 12). La festa venne
così a coincidere con l’equinozio di Primavera, «anche perché secondo la
filosofia patristica, il mondo fu creato da Dio in primavera, nel mese di
Nisan, settimo mese secondo il calendario ebraico, ma primo per importanza a
quanto sta scritto nell’Esodo 12, 2. » (C. Bernar di).
A
questa pratica di festeggiare la Pasqua diffusa in Asia Minore, s’iniziò a
contrapporsi l’usanza romana di festeggiare la Pasqua cristiana di Domenica, sia
perché nei vangeli si leggeva che Cristo era risuscitato il “giorno dopo il
Sabato”, sia perché diventò una pratica sancita dallo stesso impero romano, da
quando l’imperatore Costantino I nel 321 d. C. emanò la prima legge civile
sulla Domenica: questo giorno dedicato al “diessolis”, divenne ufficialmente
giorno di riposo. In tal modo, la domenica divenne il giorno dedicato al
Signore.
Questo
differente modo di celebrare la Pasqua delle prime comunità cristiane sfociò
nella controversa questione conosciuta come “questione quarto decimana” (dal 14
di Nisan): la disputa riguardava, appunto, il giorno in cui si dovesse
festeggiare la Resurrezione di Cristo. La questione fu risolta durante il
Concilio di Nicea del 325 d.C. indetto dall’imperatore Costantino, dove fu
stabilito che la Pasqua sarebbe stata celebrata la prima Domenica dopo la luna
piena che seguiva l’equinozio di primavera. Essendo in vigore il calendario
promulgato da Giulio Cesare (il calendario giuliano, elaborato dall’astronomo
greco Sosigene di Alessandria nel 46 a.C.), il concilio fissò l’equinozio di
primavera il 21 marzo. Questa prassi permise di considerare la Pasqua come la
vittoria dei figli della luce sulle opere delle tenebre, in quanto, dopo
l’equinozio di primavera, il giorno diventa più lungo della notte.
Il concilio
approdò a queste conclusioni derivandole dalla filosofia patristica, la quale
riteneva che «Cristo fosse morto e Risorto nella settimana coincidente con la
prima settimana della creazione … Particolare significato aveva il primo, il
quarto e il sesto. Il primo era l’equinozio, poiché Dio separò la luce dalle
tenebre, creò il giorno e la notte, divisi in parte uguali. Il quarto giorno,
creazione del sole e della luna, era un plenilunio. Nel sesto Dio creò l’uomo e
si riteneva che sempre in un sesto giorno l’uomo avesse peccato e fosse morto.
Per la Patristica Gesù fece in modo che la sua cattura e la sua passione
avvenissero nella settimana primordiale, nella quale convergono plenilunio,
equinozio e sesto giorno. Quindi l’attuale calcolato del giorno in cui
festeggiare la Pasqua oltre che da considerazioni religiose delle prime
comunità cristiane, che non vollero confondersi con le comunità ebraiche, esso
derivò anche da motivi politici, di supremazia del potere di Roma, dalla
volontà dell’imperatore Costantino di render forte il potere della chiesa di
Roma sulle chiese asiatiche, creando così un impero unito non solo
politicamente anche religiosamente. Non dobbiamo dimenticare che fu proprio
l’imperatore Costantino con l’editto di Milano del 313 d.C. a concedere libertà
di culto ai cristiani. Fu il primo passo verso il riconoscimento, avvenuto nel
380 d.C. con l’Editto di Tessalonica emanato da Teodosio, del cristianesimo
come religione ufficiale dell’impero.
Riti
propiziatori dedicati alla primavera, atti a spaventare i demoni dell’inverno,
si ritrovano anche nel mondo pagano. Questo era un modo arcaico di spiegare
l’alternarsi delle stagioni, la rinascita della natura dopo il torpore
invernale. Studi approfonditi sulle feste del mondo antico, emerge una festa
che si potrebbe considerare la progenitrice della Pasqua cristiana: la festa
del “Navigium Isidis”.
Nel
mondo antico, la festa in onore della Dea egizia Iside, importata anche
nell’Impero Romano, era caratterizzata dalla presenza di gruppi in maschera,
come attesta lo scrittore Lucio Apuleo nel libro XI delle sue Metamorfosi. Che
cosa hanno in comune il Carnevale con il “Carrus Navalis”? Il termine si rifà
alla cerimonia del “Navigium Isidis” culminante nel “Carrus Navalis”. Il
“Navigium Isidis” (la nave di Iside) consisteva in un corteo in maschera in cui
un’imbarcazione di legno (Carrus Navalis) era ornata di fiori. L’imbarcazione
era issata su un carro che si diceva appunto “navale” ed era trainata da umani
mascherati, le cui maschere richiamavano non solo i defunti, anche i demoni del
mondo dei morti. Si trattava di una festa molto allegra, dedicata alla vicenda
della Dea Iside che fece risorgere il suo sposo Osiride. Il richiamo al
connubio Morte- Resurrezione è chiaro. Inoltre in Egitto la festa si teneva nel
primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Ciò corrisponde all’odierna
Pasqua cristiana. Nella tradizione romana del “Carrus Navalis” fu introdotto un
elemento nuovo: la burla, con lo scopo di sbeffeggiare personaggi influenti.
Questo perché i romani avevano l’abitudine di ironizzare sui potenti. Si
potrebbe così ipotizzare che, con l’avvento del Cristianesimo, la festa del
“Navigium Isidis” fu smembrata per formare due festività: Carnevale (Carrus
Navalis, la processione delle maschere) e Pasqua (Iside che fa risorgere il
proprio amato dopo l’equinozio di primavera).
FONTI: Rita
Bevilacqua, “Settimana Santa a Barrafranca”, Bonfirraro Editore, 2014; Claudio Bernardi, La drammaturgia della Settimana Santa in Italia; Néstor F. Marqués, Un
anno nell'antica Roma: La vita quotidiana dei romani attraverso il loro calendario;
www. storieromane.altervista.org. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)
RITA BEVILACQUA
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