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Una tradizione carnevalesca, presente in molte parti
dell'Italia, è il cosiddetto FANTOCCIO DI CARNEVALE.
In
tempi lontani anche a Barrafranca (EN) l’ultimo giorno di Carnevale, il Martedì
Grasso, si usava portare in giro per le strade del paese un FANTOCCIO che
rappresentava il Carnevale. Si trattava di un manichino imbottito di paglia e
vestito e abbigliato da capo a piedi con abiti semplici, da contadino. Appeso ad una scala di legno, il pomeriggio veniva portato in giro per i quartieri. Arrivati
in piazza Regina Margherita, allora Piazza Convento, il fantoccio veniva
bruciato, mentre si attendava il suono delle campane della Chiesa Madre che
annunziavano l'inizio della Quaresima. Da ciò si capiva che il tempo
dell’allegria e del divertimento era terminato. Non abbiamo notizie di quando questa tradizione sia scomparsa. Possiamo solo ipotizzare che non fu più attuata dopo il febbraio del 1956 quando, a causa dell'uccisione del maresciallo dei Carabinieri Troja, assassinato durante il Carnevale, le tradizioni carnevalesche subirono un arresto. Agli eventi resistettero solo le serate private.
Nella
fantasia e cultura popolare, il Carnevale assumeva sembianze reali: quel
fantoccio vestito di stracci, era la personificazione di quei giorni di
allegria, che aveva caratterizzato il periodo carnevalesco. Come avviene
nell'ordine naturale delle cose, il martedì grasso il fantoccio-carnevale ha
ormai terminato la sua vita, deve morire, lasciare il posto al lungo periodo di
penitenza e conversione della Quaresima. Eccolo allora nella piazza principale
del paese a dissolversi tra le fiamme, a morire, a terminare i suoi giorni
terreni!
Le
origini di quest’usanza sono profonde, richiamando i riti di fecondità e
fertilità, praticati nei tempi più remoti, dove si offrivano a fantomatiche divinità
della natura sacrifici in cambio di benessere e prosperità.
Perché
proprio a Carnevale? Esso assume uno spazio temporale ludico, interpretato con
il ribaltamento dei ruoli del quotidiano, del proprio “status” esistenziale,
dell’eterna subalternità. S’inquadra quindi in un ciclico dinamismo di
significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi.
Il Carnevale riconduce a una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo
destino. Posto tra “la morte” dell’inverno e la “rinascita” della primavera,
il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata
dai vivi. Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per
questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno
quindi spesso un significato apotropaico, poiché chi le indossa, assume le
caratteristiche dell’essere ” soprannaturale ” rappresentato. Dobbiamo tener
conto che in molti comunità antichi con la riforma calendariale arcaica, o
numana (tra il VI e il V sec. aev il re “civilizzatore” Numa Pompilio aggiunse
Ianuarius e Febriarius) l’inizio dell’anno è indicato in marzo e non in
gennaio, come sarà con la riforma giuliana: marzo era, in tempi molto antichi,
il primo mese dell’anno e, di conseguenza, febbraio chiudeva l’anno
vecchio.
Nel
Carnevale sono confluiti i riti agrari di purificazione e propiziazione, propri
del mondo pagano, connessi con le feste che segnano l’inizio di un ciclo
agricolo e quindi stagionale, ispirati al bisogno naturale di rinnovarsi,
mediante l’espulsione del male: per questo l’atto di bruciare un fantoccio che
simboleggi appunto il male, il passaggio dal vecchio al nuovo. Si trattava di
un rituale magico per scacciare la passata cattiva stagione invocando l’arrivo
della primavera, affinché fosse portatrice di buoni raccolti. Questo periodo
coincide, infatti, con il tempo di tregua nei lavori stagionali della campagna.
Il rogo rappresentava l’inverno morente che era bruciato con le sembianze
di un fantoccio di paglia o legno e stracci, per distruggere definitivamente la
stagione passata in favore della primavera, con la rinascita propizia della
natura e della vita stessa.
RITA BEVILACQUA
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