Monte Navona visto dalla SP 15 |
I
barresi, da buoni siciliani, motteggiavano su tutto. Alcuni detti traevano
spunto da favole o leggende narrate per meravigliare e stupire grandi e
piccini. Uno
di questi detti trae spunto da una leggenda popolare che vede come protagonista
Monte Navona, sito tra i paesi di Piazza Armerina e
Barrafranca. Alto 754 metri,
appartiene alla catena dei Monte Erei, nella Sicilia centro-meridionale.
“Quannu Annunziata veni di luni, si fa festa a Muntrauni”,
sentenziava il detto. Si raccontava che quando la festa dell’Annunziata (ossia la festa dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria, che la Chiesa festeggia il 25
marzo) coincide di lunedì, a Monte Navone si fa festa con una particolare
fiera. In un passo del libro “Piccola Pretura” di Giuseppe Guido Loschiavo si legge che: «Al
tempo dei Saraceni, sulla sommità del monte, c’era una città. Fu distrutta
dalle guerre successive. Mia nonna mi raccontava che, dopo che la città era
stata distrutta, un tale mastro Carretto, contadino di Piazza Armerina, andò a
caccia sulla montagna, precisamente nella ricorrenza dell’Annunziata, si
ridusse sul piano del monte. E quivi, era lunedì, trovò una ricchissima fiera
di animali e merci. Volle acquistare qualche cosa da portare a casa come
ricordo; però i venditori gli dissero che tutto quello che vedeva non si vendeva,
si regalava. Volle, allora, mastro Carretto prendere qualche moneta d’oro da un
banco di cambiavalute, e questi e gli altri venditori lo incoraggiarono a
prendere quanto più potesse. Mastro Carretto si riempì le tasche dei pantaloni,
della cacciatora, il fazzoletto, il berretto e lieto per l’avventura, che lo
rendeva ricco, mosse per tornare a casa. Allora gli strani mercanti lo
avvertirono che egli avrebbe potuto portare a casa indisturbato il tesoro
purché non si fosse voltato indietro fino all'abbeveratoio dell’usignolo.
Mastro Carretto rise, scrollò le spalle e si mise in cammino leggero leggero
perché scendeva al piano e la via era comoda. Fatti pochi passi cominciò a
sentire dentro di se rumori di catene, suoni di campanelli, voci di richiamo, grida
di minacce, chiasso, scalpiccio di gente. Si mise a correre e il fracasso
d’appresso. Sentiva una torma di gente alle calcagna come se volessero
accopparlo. Resistette, resistette, finché, terrorizzato, a pochi metri dalla
fonte si voltò indietro. Aveva Perduto! Dietro di lui non c’era nulla, però
mani invisibili lo graffiarono, gli strapparono a bravi i vestiti e gli tolsero
il denaro, lo percorsero, lo lasciarono privo di sensi sul luogo. Molte ore
dopo alcuni viandanti lo trovarono ancora per terra e dalle ustioni che aveva
nel corpo, convennero che i diavoli l’avevano conciato così».
Monte Navona visto dalla SP 15 |
Altra variante è
quella dal maestro barrese Sandro Messina, riportata in un suo manoscritto dal
titolo “I disperati”:
«La
notte dell'Annunziata, quando questa viene di lunedì, perché allora gli spiriti
degli uomini là sepolti, si alzano e fanno la fiera. Difatti c'è un proverbio
che dice:
"QUANNU
ANNUNZIATA VENI DI LUNI SI FA FESTA A MUNTRAUNI"
Si
racconta di un tale, un pastorello, che pernottò sul monte col suo gregge
proprio la notte dell'Annunziata a sua insaputa, a mezzanotte si svegliò avendo
sentito un gran fracasso: si accorse che tanta gente vendeva cose da mangiare.
Avendo appetito, tirò dalla sua tasca quattro soldi e comprò alcune arance e un
pezzo di pane. Appena si saziò, comprò altre arance di cui si riempì la
"sacchina". Appena cominciò ad albeggiare, non vide più niente, tornò
a casa e quando disse ai suoi fratelli:
-
Vi ho portato delle belle arance di Montenavone! - questi risposero:
-
Quanto mai Montenavone ha fatto arance! -
-
Guardate, guardate! - diceva il pastorello, sicuro del fatto suo, e svuotava la
"sacchina" guardando pure lui. Che cosa videro? Cosa incredibile per
quei semplici pastori: le arance erano diventate marenghe d'oro del tesoro di Montenavone.
Si parla pure di un contadino che, zappando, abbia trovato una giara piena di
marenghi d'oro, e abbia riempito una bisaccia e portata a casa sul suo mulo. Si
dice che avrebbe riferito alla moglie ciò, ma che, per la troppa gioia che ne
provò tutto l'oro sia scomparso e si sia trasformato in gusci di lumache, per
punizione per non avere saputo mantenere il segreto, secondo quanto gli aveva
ordinato lo spirito che in sogno gli indicò il luogo del tesoro. Dato che le
leggende sono molte, la gente parla dei diversi modi come impossessarsi del
tesoro».
FONTI: Giuseppe Guido Loschiavo, Piccola Pretura,
1948; Sandro Messina, I disperati, Storie e leggende di Barrafranca negli anni
'40 e '50.
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)
RITA BEVILACQUA
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