martedì 3 settembre 2024

Storia dell’ex CHIESA DEL PURGATORIO di Barrafranca, con documenti inediti

 

Bozza dell'ex chiesa del Purgatorio

C’era una volta… e adesso non c’è più. Così inizia la nostra storia, la storia dell’antica chiesa di un assolato paese dell’entroterra siciliano chiamato Barrafranca (EN).

La storia che stiamo per raccontare riguarda la chiesa del Purgatorio sotto il titolo di Maria SS della Concezione. Fino agli anni '50 a Barrafranca in piazza Madonna, accanto ai "Putieddi" (strutture tardo-medievale) e vicino alla chiesa Maria SS. della Stella, esisteva una chiesa molto antica che, dagli studi condotti dallo storico dott. Angelo Ligotti e da quelli recenti del prof. Liborio Centonze, si fa risalire al periodo bizantino (durante i lavori di abbattimento furono ritrovati due monete bizantine, una moneta normanna di Guglielmo II e altro). Si tratta della chiesa del Purgatorio, conosciuta come "U Priatoriu".  Secondo il sacerdote Luigi Giunta era un fabbricato del principe Branciforti dato che, in questa chiesa, si conservava un suo stemma. Secondo lo storico Angelo Scarpulla non è da escludere che, originariamente, la chiesa fosse stata costruita sulle rovine di un preesistente tempio. Durante lo sviluppo del Cristianesimo, era normale sostituirsi a ciò che già esisteva, per cui molte chiese cristiane furono costruite sui ruderi di templi pagani. Sempre secondo Scarpulla ciò sarebbe dimostrato dal fatto che la suddetta chiesa, come altre chiese, è rivolta verso "occidente", fatto strano per una chiesa cristiana la cui costruzione veniva orientata verso "oriente" (questo sistema si afferma già a partire dal VII secolo). In tempi antichi, quando Barrafranca era ancora un piccolo borgo dallo strano nome “Convicino”, fu dedicata dalla fine del 1500 in poi a san Lio,  come si evince da diversi Atti notarili di Barrafranca, conservati nell’Archivio di Stato di Caltanissetta.

Nel “Martirologio romano” non esiste nessun San Lio. Il nome Lio trae le sue origini dal greco antico Leôn, che significa "leone" e per questo, in lingua veneta, san Lio è l’appellativo con cui si indica San Leone IX (1002- 1054), il cui culto è molto sentito a Venezia. Questo avvalora la tesi del Ligotti prima e del Centonze dopo, che la chiesa risalga al periodo bizantino (395-1453) e la discesa delle popolazioni del Nord-Italia portò il culto di San Lio (esiste una chiesa intitolata a San Lio a Venezia).

Attuali locali dell'ex chiesa (foto google maps)

Nei registri ecclesiastici di Barrafranca e in particolare nei registri riguardanti gli atti di morte del 1625, “il 20 marzo viene sepolto nella Chiesa Madonna della Concezione un certo Cristofolo di anni 50, morto a casa propria, confessato e viaticato”.  Nei registri di morte a partire dal 1770 si parta di sepolti nella chiesa del Purgatorio. Questo sta ad indicare che nella suddetta chiesa non venivano sepolti solo morti di morte violenta, come da sempre si è creduto.

In due inventari, uno datato 31 luglio 1789 redatto da Sac. Ignazio Grillo e l’altro datato 1808 redatto dal sac. Andrea Vasapolli e conservati nell’Archivio Storico della Diocesi di Catania, la chiesa è appellata del Purgatorio sotto il titolo di Maria SS della Concezione. Difatti vi erano presenti due piccole tele: una delle Anime Santissime del Purgatorio e una di Maria SS della Concezione. Dai barresi era anche chiamata la “Chiesa di l’armi santi”. Per il cattolicesimo le “anime sante” erano le anime del purgatorio, da qui l’associazione di purgatorio con anime sante. In alcuni schizzi realizzati sulla base della memoria storica di chi ha avuto modo di frequentare la chiesa, si evince che la chiesa e il campanile erano annessi a un cotile-giardino, ancora esistente, che dava sulla sagrestia. La struttura del campanile era molto simile a quello della vicina chiesa Maria SS. della Stella, con la differenza che la cupola del campanile della chiesa del Purgatorio aveva una forma piramidale.

Vicolo Purgatorio

La chiesa era separata dalle "Putieddi" dalla via Purgatorio che collegava piazza Madonna al corso Garibaldi. Parte della strada fu chiusa quando fu demolita la chiesa e creati i nuovi locali, lasciando il vicolo Purgatorio, al quale si accede dal corso Garibaldi. Entrando nel suddetto vicolo, in fondo si può ammirare ancora l'antica abside della chiesa, mentre all’interno l’abside su trasforma in una piccola cappella e la navata centrale è diventata l’attuale salone. 
Abside dell'ex chiesa ancora visibile

Come si evince dall’inventario del 1789, La chiesa era ad una sola navata e all’interno vi erano 6 altari: altare Maggiore, altare del SS Crocifisso di Maria; altare del SS Rosario; altare di san Gaetano; altare di San Isidoro e altare di San Eligio. Inoltre, vi era un organo ligneo e il campanile era dotato di 2 campane, una più grande e una più piccola. Molti degli arredi sono stati perduti, mentre alcuni furono portati nella vicina Chiesa Maria SS della Stella, come l’antica tela rappresentante sant'Isidoro Agricola di Pietro d'Asaro, detto il monocolo (era cieco di un occhio) di Racalmuto (1597-1647), mentre fino al 2011 trovava posto anche l’antica tela di San Eligio Vescovo. Sempre nella suddetta chiesa troviamo alcuni altari lignei e l’antica acquasantiera in pietra, installata negli anni ’90, dopo che era rimasta conservata nel cortile dell’oratorio.Una delle campane fu installata nel campanile della cappella Cuore Immacolato di Maria, conosciuta come chiesetta di San Giovanni (sita nell’omonima contrada), l’altra rimase nei sotterranei della chiesa Maria SS della Stella. Quando la cappella del Cuore Immacolato di Maria fu chiusa, la campana fu smontata e conservata, assieme all’altra, nei sotterranei della hiesa. Nel 2021 entrambe le campane sono state montate nel campanile della chiesa Maria SS della Stella.
Cappella dell'abside interno

Era presente un antico simulacro ligneo dell’Immacolata Concezione, di mirabile fattura, che dopo la demolizione della chiesa passò nella chiesa Maria SS. della Stella. Anni dopo l’antico Simulacro fu portato da don Pino Giuliana a Riesi (CL) nella chiesa di S. Salvatore. Tanta era la devozione all’Immacolata, che fino agli anni’50, esisteva la Confraternita dell’Immacolata. Essa si sciolse, come avvenne per tante altre Confraternite barresi, dopo la condanna di papa Pio XII ai comunisti. Negli archivi parrocchiali del 1777 risulta che vi era la “Confraternita delle Anime del Purgatorio”, la quale aveva il costume di fare delle processioni esterne con il SS Sacramento gli ultimi giorni di Carnevale.

Nei tempi antichi fu ufficiata dai Conventuali di san Francesco. Tra questa chiesa e quella dei Minori Riformati sita in Piazza Regina Margherita, sorse una questione su quale delle due dovesse celebrare la festa dell'Immacolata nel giorno dell'8 dicembre. La questione portata davanti al governo fu decisa in favore della chiesa del Purgatorio con ministeriale dell'11 aprile 1836. 

Durante i bombardamenti del 18 luglio 1943 una bomba, caduta tra la via Bellini angolo Corso Garibaldi, colpisce il tetto della chiesa danneggiandolo. Dai racconti orali apprendiamo che, a causa questo increscioso evento, Monsignor Antonino Catarella, vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, decise di chiudere la chiesa. Dopo anni di chiusura e in barba alla sua veneranda età e ai lustri che aveva dato a “Convicino” prima e a “Barrafranca” dopo, si decise di distruggerla. Erano gli anni ’50 e l’idea di creare dei locali utilizzabili dalla vicina chiesa Maria SS della Stella balenò nella mente dell’allora parroco Don Giovanni Faraci. L’anno 1957 decretò la fine della chiesa del Purgatorio. Nacquero gli attuali locati adibiti, dal marzo 1968, ad ospitare l’oratorio “Casa del Fanciullo”, fortemente voluto da Don Giuseppe Zafarana, il quale si prodigò anche ad aprire una scuola materna parrocchiale. Per alcuni anni furono utilizzati come "Centro per gli anziani" e dal 2000 al 2016 ospitarono le suore Clarisse Apostoliche Domenicane. Attualmente ospita il parroco della vicina chiesa Maria SS della Stella.

FONTI: Archivio di Stato di Caltanissetta; Archivio Storico della Diocesi di Catania; Registri ecclesiastici Barrafranca- Diocesi di Piazza Armerina. TESTI: Sac. Luigi Giunta, Brevi cenni storici su Barrafranca, Tipografia Ospizio Provinciale di Beneficenza, Caltanissetta, 1928; Angelo Li gotti, La penetrazione cristiana nella zona di Barrafranca, Piazza, Pietraperzia, Mazzarino, secondo le recenti scoperte, Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo, 1965; Angelo Scarpulla, C’era una volta e c’è ancora Barrafranca, Rimini, 2001; Liborio Centonze, Navigando i fiumi, vol. I, Edizioni NovaGraf, 2013. Gaetano Vicari, Guida alle principali chiese di Barrafranca, seconda edizione, 2019; FONTI ORALI.  (Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA

martedì 16 luglio 2024

Uomini del passato: Peppino Seggio e l’amore per la musica

 

Nella metà degli anni Cinquanta, Barrafranca (EN) vide protagonista un uomo singolare che, con il suo umorismo leggero e il suo canticchiare scanzonato, lasciò un ricordo indelebile tra quelli che l’hanno conosciuto.


Stiamo parlando di Giuseppe Seggio, meglio conosciuto come Pippinu Siggiu. Secondo di sei figli, Giuseppe nasce il 14 luglio 1896 in una famiglia poverissima. Il padre Pasquale, figlio di Giuseppe e Giuseppina Barbuzza nato a Barrafranca il 28 agosto 1856, sposa il 03 aprile del 1894 Laura Farruggia di Rocco e Felicita Grillo, nata a Barrafranca il 21 aprile 1866.  Dalla loro unione nascono: Giuseppa (1894), Giuseppe (Peppino), Felicita Maria Stella (1898), Rocco (1902), Carmela (1905) e Maristella (1908).

Per sfamare una famiglia così numerosa, Pasquale si adattava a qualsiasi mestiere (negli archivi comunali alla voce “mestiere” troviamo “industrioso”), Laura fa la casalinga. Come tantissime famiglie di allora, non hanno la possibilità di far studiare i figli. Così Giuseppe che, fin da bambino aveva la passione per la musica, dovette rassegnarsi e limitarsi a canticchiava valzer, mazurche e altro con testi e musiche proprie che sapevano di una sola personale tonalità. Si dilettava anche a scrivere poesie e versetti. Per vivere Giuseppe faceva il muratore. Trascorse buona parte della sua vita in una casetta, assieme alla sorella Maria Stella, in via Ciulla incrocio via Paterno Rossi.

Negli anni Quaranta arriva a Barrafranca il maestro leonfortese Paolo Marinacci, amico del dott. Angelo Ligotti, al quale fu chiesto di comporre degli spartiti per la banda cittadina. In questo frangente i dot. Ligotti chiede all’amimico di musicare una marcia funebre che Peppino Seggio canticchiava. Quello starno canticchiare fu trasformato in una marcia funebre dal titolo che "Padre Pietoso". Da subito bbe un gran successo, tanto che ancora oggi viene suonata il pomeriggio del Venerdì Santo davanti al Sagrato della chiesa Madre durante la preparazione del Crocifisso.


Spesso il dott. Angelo Ligotti lo faceva esibire o nel suo studio medico o nel bar della zi Santina Gueli in Piazza Itria. In una delle foto più conosciute si vede Peppino sopra una sedia e, con in mano una bacchetta, dirigere un’orchestra fantasma. Accanto a lui un cagnolino, il suo fedele compagno. Dello stesso autore celebri furono  anche "Il valzer di Monte Navone", "Cirumbelli - polka", "La Mazurca di Caceci" ed altri, ideati dal Marinacci ed attribuiti al Seggio. Celebre e storica la frase che era solito ripetere: "Amara quella porta che ha bisogna del pontillo”.

Muore il 18 luglio 1971. Al suo funerale, la banda musicale del paese gli rese omaggio suonando, gratuitamente, diverse marce funebri, tra cui la sua amata “Padre Pietoso”. 

Riportiamo un ricordo del prof. Carmelo Orofino: “Sbucando dallo stradone, giungeva alla piazzetta del bar Centrale con la sua aria timida e sognante, accentuata dalla lunga sciarpa intorno al collo e dal vecchio cappotto che portava fino ad aprile inoltrato. Camminava mogio mogio, come pestasse le uova, e al suo fianco trotterellava il cane Autore. Non appena sedeva, qualcuno incominciava: «Maestro, ci faccia sentire qualcosa». L’anziano compositore si guardava attorno con gli occhietti spiritati e incominciava, agitando nell’aria la manina ossuta: «Po' po’ po' poropopò...» «Che cos’è, maestro?» «Una marcia funebre, l’ho composta stanotte.» Bisogna dire che il maestro componeva molto: canzoni, marce, opere e tutto con la bocca. Tutti lo incoraggiavano e tutti gli dicevano che il successo non sarebbe tardato. Una sera lo fecero salire su una sedia, gli misero in mano una bacchetta e gli fecero dirigere la musica diffusa da una radio a transistor. Molti canticchiavano le sue canzonette strampalate ed in particolare la Ballata delle pulci.”

FONTI: Archivio di Stato di Enna. Località Barrafranca; Registri ecclesiastici, Chiesa Maria SS. Della Purificazione di Barrafranca- Diocesi di Piazza Armerina. TESTI: Franco Balsamo, Barrafranca. Vita fatti e personaggi del ventesimo secolo, Caltanissetta, 2 edizione, lito-tipografia Bartolozzi Caltanissetta, 1992; “Il maestro compositore di Carmelo Orofino”, articolo pubblicato nel Giornale “Orizzonti” di Piazza Armerina (EN) 1997. FONTI ORALI: intervista Giuseppina e Maria Stella Bartoli, nipoti del compianto Seggio; intervissta a Salvatore Rizzo, Maestro della Banda Musicale Città di Barrafranca; FOTO: Archivio Cateno Marotta. (Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA



martedì 4 giugno 2024

STORIE DI UOMINI- Chi era il maresciallo Salvatore Troja, ucciso a Barrafranca (EN) il 13 febbraio 1956


Uno dei doveri della società civile è ricordare gli uomini dal grande spessore morale che, per sfortunate vicende, hanno perso la vita. È in quest’ottica che oggi vogliamo far conoscere il maresciallo Salvatore Troja, ucciso a Barrafranca (EN) il 13 febbraio 1956, attraverso la sua figura di uomo e di ufficiale.

Il 13 gennaio 1908 nasce a Ramacca (CT) Salvatore TROJA, di Tommaso e di Giuseppina Sanfilippo,

Il 30 aprile 1926 si arruola nell’Arma dei Carabinieri.

Il 15 ottobre 1926, dopo il corso, vieni promosso Carabinieri a piedi.

Dal 1926 al 1929 svolge servizio come C.re ausiliario presso la legione di Palermo.

Il 29 settembre 1929 a Scordia (CT) sposa Lucia Scirè, di Rocco, classe 1908.

Il 01 maggio 1929 viene posto in concedo illimitato.

Il 27 settembre 1930 nasce a Scordia la primogenita Giuseppa, deceduta il 5 settembre1931.

Il 28 novembre1933 nasce a Catania la figlia Giuseppa Anna Maria.

Il 07 settembre1937 nasce a Scordia la figlia Fortunata Antonina Angela

Il 06 marzo 1940 nasce a Scordia la figlia Amalia.    

Il 04 giugno 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, viene richiamato alle armi.

Il 31 marzo 1940 viene promosso Vice Brigadiere dei Carabinieri

Il 18 novembre 1941 è mobilitato col 13° Battaglione CC.NN “Bologna”.

Il 01 gennaio 1943 viene catturato dai tedeschi.

Dopo l’armistizio di Cassabile dell’8 settembre 1943 non aderisce alla RSI e unitamente ad altri militari si disperde in Albania.

L’08 settembre 1944 viene fatto prigioniero di guerra in Albania.

Il 14 aprile 1945 riparte da Tirana e giunge a Bari dove viene ricoverato all’Ospedale militare di Valenzano per malaria.

Il 19 aprile 1946 riprende, con il grado di Brigadiere servizio a Messina.

Nel 1947, grazie ad una delicata operazione, il Troja riceve un encomio solenne concesso dal Comando Legione Messina con la seguente motivazione: “Sottoufficiale in sottordine-dando prova di alto senso del dovere, energia e zelo, coadiuvò efficacemente il proprio comandante di compagnia in laboriose indagini che si conclusero con l’arresto di sette persone associate per delinquere e responsabile di rilevanti furti, e con il recupero di gran parte della refurtiva per un valore di circa duemila lire. Nel corso delle indagini richiamato dalla detonazione di una pistola sparato dal collega impegnato in una colluttazione con pericoloso delinquente che stava per essere sopraffatto e disarmato, affronta decisamente il ribelle stordendolo con un colpo di calcio della pistola di ordinanza permettendo in tal modo l’arresto. Floridia- Avola 1947”.

Il 30 giugno 1949 promosso Maresciallo Ordinario.

Il 30 giugno 1951 promosso Maresciallo Capo.

Il 18 settembre 1952 è nominato Comandante della stazione dei carabinieri di Barrafranca (EN) che allora era sita in via Santa Rita, dietro l’attuale palazzo Comunale. Difatti una parte del palazzo comunale (dove attualmente c’è il gabinetto del sindaco) era la stazione del comando dei Carabinieri e i locali attigui, erano le carceri.

Il 13 febbraio 1956 viene ferito gravemente, assieme alla figlia Amelia, in un agguato davanti casa. La ragazza muore sul colpo. Il maresciallo viene trasportato all’Ospedale di Caltanissetta, dove muore il 14 febbraio.

Dopo i funerali le salme vengono trasferite e tumulate al cimitero di Scordia (CT), dove attualmente riposano.

FONTI: documentazione in possesso del maresciallo in pensione Salvatore Sessa, nipote del compianto Troja; ricerche storiche del maresciallo in pensione Vincenzo Pace di Barrafranca (EN; ricerche storiche di Carmelo Gambera incaricato per la memoria del presidio Libera di Scordia; articoli del quotidiano “La Sicilia” anno 1956.  (Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA




giovedì 13 luglio 2023

L’antica pratica devozionale di pregare rivolti verso oriente

Foto del web

Alcune ricerche condotte a Barrafranca (EN) sulle pratiche devozionali dedicate a san Giuseppe e a sant’Alessandro, spesso mi sono imbattuta nella pratica religiosa di pregare inginocchiati e rivolti con il viso verso l’oriente. E non solo. Alcuni anziani ricordano che durante il lavoro dei campi, al rintocco delle campane all’ora terza, sesta, nona, era costume fermarsi, inginocchiarsi con il viso rivolto verso oriente e si recitavano le preghiere. Da qui la domanda: da dove deriva quest’antica pratica?

La preghiera è una delle pratiche religiose più diffuse. Non c’è stato e non c’è credo religioso che non pratichi l’atto di rivolgersi con parole al divino, in un costante rapporto con la divinità. Il più antico modo di pregare era quello di rivolgersi verso oriente.

Come afferma il liturgista Mons. Klaus Gamber nell’orientamento della preghiera liturgia, saggio apparso sul periodico “Notizie n° 116”, l'usanza di pregare rivolti al punto in cui sorge il sole è antichissima, comune a ebrei e gentili. I cristiani l'adottarono ben presto. Già nel 197, la preghiera verso oriente è per Tertulliano una cosa normale. Nel suo Apologeticum Tertulliano scrive: “…è noto che noi si prega rivolti dalla parte d'oriente.” ((cap. XVI). Inoltre, si premura di rammentare preliminarmente la base scritturistica anche per le tre ore «canoniche» (terza, sesta e nona). Il cristiano è chiamato a iniziare e concludere le sue giornate con l'orazione, rispettando i due momenti, alba e tramonto, che Tertulliano considera di rito. Allora nelle case si indicava la direzione della preghiera a mezzo di una croce incisa nel muro. Una croce del genere è stata ritrovata a Ercolano in una camera al primo piano di una casa sepolta dall'eruzione del Vesuvio nell'anno 79. Anche Clemente Alessandrino nel VII libro dei “Stromata” parla dell’orientamento del pregante. Egli scrive: «Comunque, poiché l’oriente è immagine del giorno natale e da qual punto si diffonde la luce ‘che dalle tenebre risplendé’ la prima volta, e anche per quelli che si avvoltolando nell’ignoranza spuntò il giorno della vera ‘gnosi’, come il sole, le preghiere si facciano rivolti verso oriente all’aurora» (“Stromata” VII.7.43.6).

Nel 2008 la pubblicazione del libro “Rivolti al Signore” del sacerdote Uwe Michael Lang, riporta l’attenzione sull’importanza dell’orientamento della preghiera nella liturgia. Il libro è la traduzione dell’originale scritto da padre Lang prima in tedesco e poi in inglese, nel 2004, e contiene la prefazione dell’allora Cardinale Ratzinger, diventato Papa Benedetto XVI.

“Non vi è dubbio che, fin da tempi molto antichi, fosse naturale per i cristiani di tutto il mondo conosciuto volgersi in preghiera verso il sole nascente, ovvero verso l’est geografico. Sia nella preghiera in privato che nella preghiera liturgica i cristiani si voltavano non più verso la Gerusalemme terrena, ma verso la nuova Gerusalemme celeste; credevano fermamente che, quando il Signore fosse tornato nella gloria per giudicare il mondo, avrebbe radunato i suoi eletti per formare questa città celeste. Il sole nascente era considerato l’espressione appropriata di questa speranza escatologica” (Rivolti al Signore, cit., p.31).

C’è sempre qualcosa di arcano nell’antiche pratiche devozionali, scomparse ormai da decenni, e che rimangono nella mente degli anziani, il cui richiamano alle pratiche degli albori della religione è palese.

FONTI: "Notizie" periodico dell'associazione italiana Una Voce, edito dalla Sezione di Torino n° 116, 1987; Tertulliano, “Apologeticum”, introduzione e traduzione a cura di Onorato Tescari, 1951; Clemente Alessandrino, “Gli Stromati note di vera filosofia”, Edizioni paoline, 2006; Uwe Michael Lang, “Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica”, Cantagalli 2008; FONTI ORALI. Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA 


martedì 21 marzo 2023

"Luni santu, Marti santu…" l’antica orazione-scongiuro dei ciarmavermi siciliani.


"Ciarmavermi" (foto web)

Nel variegato panorama delle orazioni e degli scongiuri recitati dai "ciarmavermi siciliani" (tagliatore dei vermi intestinali), il più conosciuto è quello che l’antropologo siciliano Giuseppe Pitrè chiama "Scongiuro della Settimana Santa". Nel saggio "Medicina popolare siciliana" Pitrè definisce la credenza e la pratica del taglio dei vermi "verminazione" e le persone che la praticano sono chiamati "ciarmavermi”, termine che deriva da "ciarmare" ossia "affascinare, ammaliare”, individuando così l’azione di curare il male.

Nella cultura popolare contadina quando un bimbo aveva prurito nella zona anale o piangeva sempre o soffriva di mal di pancia, le mamme di una volta dicevano "Ha il verme nella pancia". La frase stava ad indicare, in modo figurato, che il dolore provato dal bambino traeva origine da parassiti intestinali, chiamati in medicina “ossiuri”. Sono dei parassiti di forma affusolata e di colore bianco/avorio diffusi soprattutto tra i più piccoli. Il primo sintomo è quello del prurito nella zona anale, associato al mal di pancia persistente.

Ossiuri (foto web)

Per le ciarmavermi siciliani la causa è "Nu scantu" ossia uno spavento improvviso. Le persone più colpite sono quelle più deboli, come i bambini e le donne. A tal proposito Pitrè scrive: <<Questi vermi hanno la loro sede in un dato posto degli intestini e si raccolgono e aggomitolano insieme in forma di ciambella, detta "cuddura di lì vermi”>>. Affinché la pratica si svolga in modo corretto, la ciarmavermi e il bambino debbono essere a digiuno. Il digiuno è una pratica comune a tutte le religioni o riti propiziatori, perché rende il corpo e l’anima puri, non contaminati da agenti esterni. Oltre all’ orazione- scongiuro, la guaritrice utilizza alcuni strumenti, come uno spicchio d’aglio, dell’olio d’oliva, una tazzina da caffè, una bacinella piena d’acqua e uno spago. La mano da utilizzare è quella sinistra perché, come scrive Giuseppe Bonomo in Scongiuri del Popolo Siciliano, <<la magia ama fare il contrario della Religione e della vita sociale. Bisogna pure tener presente che l'inversione dei gesti, delle azioni, delle parole è una delle forze della magia>>.

Ciarmavermi (foto web)

Passiamo al rito vero e proprio. Si prende una tazzina di caffè, si schiaccia all’interno uno spicchio d’aglio e si aggiunge olio d’oliva crudo. Poi si sporca un po' il bordo della tazzina e si tiene in mano. Per iniziare si fa il segno della croce, si recita il Padre Nostro e si ripete "Luni santu, Marti santu, Mircuri santu, Juvi santu, Venniri santu, Sabatu santu, a Duminica di Pasqua u vermi 'nterra casca". Al termine dell’orazione con la mano sinistra si fa il segno della croce in direzione dell’ombelico del paziente. Si prende la tazzina, si capovolge sull’ombelico e si continua con lo scongiuro. Se ci sono veramente i vermi la tazzina si attacca all’ombelico, altrimenti rimane staccata. Se i vermi non ci sono, non si attacca, si stacca subito. 

A Barrafranca (EN) la guaritrice A. B. (per la privacy citiamo solo le iniziali del nome) intervistata dalla scrivente, utilizzava un procedimento più lungo: dopo aver fatto sdraiare il paziente con la pancia scoperta, prendeva dell’olio di oliva, ciarmato per l’occasione (ossia reso atto alla guarnizione mediante particolari pratiche che solo la guaritrice conosce) e inizia con il pollice, l’indice e il medio della mano destra, uno per volta, e dà piccoli tocchi di polpastrelli unti di olio sulla pancia, partendo dall’ombelico e poi tutto attorno. Terminato il procedimento con la mano destra, si ripete il tutto con la mano sinistra. Alla fine, la guaritrice fa un segno della croce con la mano sinistra. Il rito si deve ripetere per un totale di 3 giorni. La domenica successiva la ciarmavermi fa ritornare il paziente per controllare, attraverso un altro rito, se i vermi sono veramente scomparsi. Si prende un grosso filo di cotone, che usavano le nonne per cucire, e una bacinella piena d’acqua. Si prende il filo e si misura la lunghezza del corpo del pazienta, a partire dalla punta del pollice della mano sinistra e, attraversando tutto il corpo, fino al pollice della mano destra. Si continua misurando dalla testa fino alla punta dei piedi e dal femore destro e sinistro fino alla punta dei piedi. Poi il filo veniva raccolto tra il dito indice e il dito medio della mano sinistra (le dita debbono rimanere separati) e viene tagliato a pezzetti e buttato nella bacinella piena d’acqua. Se i pezzetti vanno a fondo vuol dire che i vermi sono moti. Se alcuni pezzetti rimanevano a galla, contorcendosi, non tutti i vermi sono morti e bisogna rifare la pratica.

Ritornando allo scongiuro, l’invocazione contenuta in esso è indirizzata alla Settimana Santa che, nella sua sacralità, diventa veicolo di guarigione. <<Si invocano sette dimensioni potenti, sette entità che i questa parte dell’orazione sono caratterizzate soltanto al loro legame col tempo, col numero e col sacro>> scrive Mannella nel suo saggio "Il sussurro magico". I sette giorni della settimana nella connotazione di "santi" perdono il loro valore temporale per assumere quello della sacralità. Sempre dal Mannella apprendiamo che la cifra sette rappresenta la sintesi del tempo con il sacro: sette è la somma di tre, che rappresenta il divino e di quattro che rappresenta il tempo (quattro sono le stagioni, le fasi lunari, etc.). L’invocazione del ricordo ciclico della passione, morte e resurrezione di Cristo, della vittoria della vita sulla morte, permette al guaritore di eliminare il male. Come in tutte le pratiche popolari, anche in questa si mescolano sacro e profano, conoscenze arcaiche acquisite con una ciclicità gestuale che, per essere efficace, ha bisogno di un richiamo autorevole come il ricorso alle preghiere sacre.

FONTI: Giuseppe Pitrè, "Medicina popolare siciliana, volume unico, 1896; Roberto Martorana, L’uso della Mano Sinistra in alcuni Scongiuri popolari, pubblicato in www.academia.edu; "Verba et incantamenta carminum. Sulla medicina popolare siciliana" di Gian Mauro Sales Pandolfini, pubblicato il 1° gennaio 2018 in DIALOGHI MEDITTERRANEI, periodico bimestrale dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo (TR); Pier Luigi Josè Mannella, Il sussurro magico. Scongiuri, malesseri e orizzonti cerimoniali in Sicilia, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2015 Studi e materiali per la storia della cultura popolare Edizione storica n. 27; fonti orali tra cui l’intervista di Rita Bevilacqua alla guaritrice A. B. di Barrafranca (EN). FOTO: pagina facebook “Preghiere e scongiuri popolari siciliani”; sito web DIALOGHI MEDITTERRANEI, periodico bimestrale dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo (TR).  (Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA



giovedì 30 giugno 2022

“Il pappagallino indovina ventura”

Pappagallino intovina vantura
Chi si ricorda del "Pappagallino indovina ventura" o "pappagaddinu da vintura"? Era un pappagallino che con il suo becco prelevava da una gabbietta un foglietto colorato, il fogliettino “pianeti della fortuna”, su cui era scritta la "ventura", ossia la previsione dell’avvenire o sorte a cui era destinato l’uomo. Andiamo per ordine.
Intorno agli anni 50/60 del secolo scorso, non era insolito vedere circolare nei paesi, soprattutto durante le feste e le sagre, strani forestieri con un pappagallino dentro una cassetta o gabbietta piena zeppa di bigliettini di tonalità diverse. Secondo il ricordo di alcuni anziani, a Barrafranca (EN) era una zingarella (o zingarello) che girava per le strade avvicinando le persone che incontravano o bussando a ogni casa, per offrire il loro speciale servizio: "a lettura da vintura", ossia la lettura del futuro. Con la modica somma di cinque lire o con pagamento in natura, la zingarella ti prediceva il futuro. La procedura era sempre la stessa: questa chiedeva all'interlocutore l’età, il sesso e lo stato civile e dopo la risposta apriva la gabbietta e il pappagallino con il becco estraeva un bigliettino colorato. C’era chi invece, spaventato dalla lettura del futuro, dava all'avvenente zingarella il denaro, senza farsi estrarre il bigliettino.
Bigliettino "Pianeta della Fortuna"
I bigliettini facevano parte della raccolta conosciuta come "I pianeti della fortuna". Si tratta di pubblicazioni popolari molto diffuse che riportavano su foglietti di diverso colore e di piccolo formato (cm 9x12) predizioni sul futuro e l'indicazione dei numeri fortunati per il gioco del lotto. Prevedevano pronostici personalizzati per le diverse categorie di lettori (per uomini, donne, bambini, mariti, etc.) ed erano caratterizzati da semplici vignette. Furono inventati intorno alla metà del XIX secolo dal tipografo Giuseppe Pennaroli di Fiorenzuola d’Arda e distribuiti ai venditori ambulanti che li raccoglievano in una cassetta ed estratti da un pappagallino.

Bigliettino "Pianeta della Fortuna"

Questi bigliettini venivano visti dalle classi meno abbienti come una sorta di riscatto, la possibilità di "un’altra vita", la speranza di un futuro migliore, l’aspirazione al benessere e ad una sorta di giustizia sociale, fornita dalla previsione scritta in cui bigliettini colorati che, non a caso, rispecchiavano le aspettative delle classi subalterne. Amore, ricchezza, fortuna erano previsioni per tutti e la credere in forniva alla gente comune la credenza in un riscatto sociale.

Locandina mostra 

A tal proposito l’antropologo siciliano Antonino Uccello nell’introduzione alla "Mostra di documenti originali della pubblicazione I pianeti della fortuna. Canzoni e vignette popolari dell'antica tipografia G. Pennaroli di Fiorenzuola d'Arda" del 1975 scrive: «Molti di noi hanno forse avuto “indovinata la ventura” da uno di questi foglietti- pianeti coloratissimi illustrati da una rozza vignetta che a noi ragazzi qualche volta è capitato di prendere dal becco di un pappagallo portato in giro in una gabbietta da un ometto che faceva il mestiere di vagabondo. Questi “foglietti” hanno rappresentato una sorta di fata morgana, la vita altra cui le classi subalterne hanno sempre aspirato. L’oracolo racchiuso in questi “fogli” protrae nel tempo la segreta speranza dei poveri e degli sfruttati che possono trovare soddisfatta la loro aspirazione al benessere e alla giustizia sociale solo nella rappresentazione del sogno e della rappresentazione fantastica…”. 

FONTE: "Per le feste arriva ancora l’indovina-ventura col pappagallo" di Nello Blancato, pubblicato il 6 Luglio 2020 sul sito www. alazzolo-acreide-siracusa; www.casamuseo.it; FONTI ORALI. (Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA

 

domenica 1 maggio 2022

U pani di “Santruscianniru”- il pane antropomorfo offerto al Santo patrono di Barrafranca

Altare di sant'Alessandro, patrono di Barrafranca 
Da secoli Barrafranca (EN) il 03 maggio onora e festeggia il patrono Sant'Alessandro, attraverso riti e tradizioni che anno un sapore arcaico. 

Dai fedeli barresi Sant'Alessandro è considerato PATRONO poiché si ritiene possa intercedere presso Dio in favore della comunità; PROTETTORE in quanto ha il potere di proteggere da calamità naturali e GUARITORE nel senso che guarisce o difende dai mali corporali. Per queste sue doti è oggetto di grande devozione. 

Pane antropomorfo a figura intera
Una caratteristica della devozione al Santo è l’offerta del pane, conosciuto come “U pani di Santruscianniru". Non si tratta di un semplice pane ma di un ex-voto, ossia di un oggetto materiale, nel caso specifico il pane, offerto in cambio di una grazia ricevuta. I fedeli stringono un patto con il Santo: offrire devozione e ricevere la grazia. In questo modo l’ex-voto custodisce e rende visibile la richiesta.

Pane antropomorfo a forma di testa
E’ dal carattere economico-agrario della società siciliana, legata alla terra e di conseguenza alle alternanze delle stagioni, che trae origine la pratica devozionale del pane. «Nelle culture agricole e pastorali, ove la vita stessa della comunità dipende dalla quantità e qualità del raccolto, dal benessere degli armenti, questo fatto si manifesta con particolare evidenza.» Era inevitabile che in quelle società che fondavano la loro economia sulla raccolta di cereali, il fluire del tempo e l’avvicendamento tra tempi sacri e tempi profani, si articolavano in relazione ai periodi della semina, del germoglio primaverile e del raccolto. Che cosa poter offrire al proprio Santo patrono, eletto come protettore sia delle genti che delle messi (il simulacro di Sant'Alessandro porta sulla sedia papale delle spighe intrecciate) se non il bene più prezioso: il pane. Non si tratta del consueto pane, del pane di tutti i giorni, è un pane particolare, è il pane della festa. Proprio questa connotazione gli conferisce una particolarità, una sacralità, che supera le barriere spazio-temporali, per proiettarsi nella dimensione del divino. 
Pane antropomorfo a forma di mano
"E’ u pani da festa. E’ u pani binidittu!". Questo ripetono gli anziani quando si chiede loro del valore che per loro aveva il pane quando veniva offerto ai Santi e consumato durante le feste. Il pane della festa è riconoscibile per il particolare impasto e la particolare modellazione, per quella "forma diversa", che ne rimarca la dimensione del tempo festivo rispetto alla festa. Quel particolare pane, preparato e consumato in una determinata occasione rituale, diventa segno imprescindibile quella festa.
Pane antropomorfo a forma di gamba
Il pane di Santruscianniru è preparato con farina di frumento, sale, acqua, lievito e impastato a lungo, affinché la pasta diventi dura e compatta. In seguito è modellato in modo tale da conferirgli le forma desiderata, che richiamano parti del corpo o l’intera persona, in base alla richiesta di guarigione fatta dal devoto: si possono trovare pani a forma di gamba, di testa, di mano, di mammella, ecc. Prima di essere infornato viene spennellato con uovo sbattuto. La consegna del pane è preceduta un rituale ben preciso: prima della festa, i fedeli compiono, per nove giorni consecutivi, un viaggio penitenziale presso la chiesa Maria Ss della Stella. Poi il giorno della festa i fedeli riempiono l’altare con i pani antropomorfi n forma di parti del corpo, tibie, femore, mani o raffiguranti piccole bambole (pupidda), simboli del loro patto con il Santo. Il tutto termina con la benedizione del pane e la sua circolazione che può avvenire in chiesa, distribuito in piccolo bocconi ai fedeli come in una sorta di eucaristia, oppure portato a casa, dopo aver dato un’offerta, e conservano come un oggetto investito di proprietà apotropaiche, in quanto allontana gli influssi negativi. IL PANE DELLE FOTO è stato realizzato dal PANIFICIO BARRESI di Barrafranca (EN). 

FONTI:  Giuseppe Pitrè, Usi e  costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, 4 voll., 1889; Ignazio E. Buttitta, I morti e il grano. Tempo del lavoro e ritmi della festa, Meltemi Editore, Roma, 2006; http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/in-nome-del-pane-in-nome-delluomo: Ricerche di Rita Bevilacqua e fonti orali. (Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA