lunedì 3 giugno 2019

“Hannu a passari sti vintinovi anni, unnici misi e vintinovi jorna!”


Chi lo ricorda? Chi non ha mai detto, sospirando, “Hannu a passari sti vintinovi anni, unnici misi e vintinovi jorna!”. Con questo detto, che riprende gli ultimi versi di un antico canto siciliano di carcerati conosciuto come “Buttana di to mà!”, il siciliano intende ironizzare su se stesso, quando si trova in una condizione che non consente fuga, destinata però a finire. Prima o poi il giorno tanto desiderato arriverà!. L’attesa è lunga e il conto alla rovescia aiuta a lenire la sofferenza dell’attesa.

Il detto lo ritroviamo anche nel libro “Occhio di Capra” di Leonardo Sciascia pubblicato nel 1984. Il canto del carcerato è divenuto famoso grazie alla splendida voce di Rosa Ballistreri. 
La traccia “Buttana di to mà!” (così conosciuto il canto) si trova nell’album “Noi siamo nell'inferno carcerati” inciso dalla Ballistreri nel 1974. 
Una persona è stata condannata a trent’anni di carcere. Dopo solo un giorno trascorso in cella, inizia a contare il tempo che ancora gli rimane da vivere in quel luogo, cantando questa canzone:
Buttana di to mà ‘ngalera sugnu
Senza fari un millesimu di dannu
Tutti l’amici mia cuntenti foru
Quannu carzarateddu mi purtaru
Tutti lì amici mia ‘nfami e carogna
Chiddu ca si manciau la castagna
Quannu arristaru a mia era ‘nuccenti
Era lu jornu di tutti li santi
Nun sugnu mortu no! Su vivu ancora
Ogliu ci nn’è e la lampa ancora adduma
Si voli Diu e nesciu di sta tana
Risposta cci haju a dari a li ‘nfamuna
Hannu a passari sti vintinov’anni
Unnici misi e vintinovi jorna!.
(Puttana di tua madre in galera sono
Senza fare un minimo di danno
Tutti gli amici miei contenti erano
Quando in galera mi portavano
Tutti gli amici miei infami e carogne
Quello che si è mangiata la castagna
Quando mi hanno arrestato ero innocente
Era il giorno di tutti i Santi
Non sono morto no!! Sono vivo ancora
L’olio c’è, e la lampada ancora accende!
Se Dio vuole ed esco da questo buco
Risposta devo dare agli infami
Dovranno passare questi ventinove anni
Undici mesi e ventinove giorni!).

Il canto si apre con una imprecazione che il siciliano pronuncia contro chi gli ha recato danno, causandogli lo stato di malessere in cui si trova Egli si considera innocente, ma qualche amico infame l'ha tradito.  Il canto continua con la speranza che Si voli Diu e nesciu di sta tana, il carcerato darà risposta ai suoi nemici. Il tutto si chiude con il conto alla rovescia dei giorni che ancora dovrà scontare, con la consapevolezza che  quella vita prima o poi finirà. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

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