domenica 22 febbraio 2015

"A calata a Tiledda" tradizione barrese di inizio Quaresima.

Foto d'epoca interno chiesa Madre
Il mercoledì delle Ceneri segna l’inizio della Quaresima, il passaggio dalla dissolutezza del Carnevale ai quaranta giorni che precedono e preparano  alla Pasqua. In molti paesi della Sicilia, questo passaggio è segnato da un’antica cerimonia conosciuta come a calata a tiledda. Questa cerimonia, di cui ne parla anche il Pitrè nella raccolta “Feste popolari siciliane”,  fa parte di quelle antiche cerimonie di inizio quaresima, in cui era costume velare con drappi viola Crocifissi  e absidi delle chiese. Tutto ciò richiama la tradizione popolare di ricoprire con manti neri i vetri, le porte e quant’altro delle case in segno di lutto, di sofferenza in attesa della morte e della successiva Risurrezione di Cristo.
Fino agli anni ’60 anche a Barrafranca (EN) presso la Chiesa Maria SS. della Purificazione, conosciuta come chiesa Madre, si svolgeva questa cerimonia. 
La "tiledda" era un’enorme tela, alta una quindicina di metri la quale, azionata grazie ad alcune funi su cui erano attaccate dei contrappesi (sacchi di sabbia), veniva “calata” per nascondere tutto l’abside e celarlo fino alla resurrezione. Era di colore grigiastro, su cui erano raffigurate la Crocifissione di Cristo e alcuni momenti della passione, tra cui la sepoltura. Veniva azionata grazie ad alcune funi su cui erano attaccate dei contrappesi, consistenti in sacchi di sabbia. La sera del martedì grasso, allo scoccare della mezzanotte, un suono di campane annunziava l’inizio della Quaresima e per le strade passava una Croce, per ricordare alla gente che il carnevale era terminato. Al suo passaggio, la gente che si trovava ancora per strada, vestita in maschera, si spogliava immediatamente e cessavano le serate danzanti. Il passaggio della croce era scandito da un canto in dialetto barrese:Oi in vittura e dumani in servitura. Beatu cu ppi l’arma si pripara.” 
Cattedrale Maria SS. delle Vittorie- Piazza Armerina
Le persone allora si recavano nella chiesa Madre ad assistere alla "
calata da tiledda”. A questa cerimonia partecipavano tutte le confraternite (allora erano otto) che, al momento della “calata”, rigiravano la fascia da confrate dalla parte nera e al suono della “scattiola” (troccola) iniziavano a cantare i lamenti. Questo evento era così seguito dalla popolazione che spesso sfociava in disordini e risse. Allora il clero fu costretto a sospenderla, malgrado l’indignazione della gente. E' da circa dieci anni che questa tradizione è stata ripresa dai parroci della chiesa Madre, in modo diverso da come si svolgeva anticamente. Dopo l'adorazione dell'Eucarestia, esposta per le Quarantore, il parroco, i membri della Confraternita del SS. Crocifisso e alcuni dei lamentatori si preparano sull'altare maggiore. Quando tutto è pronto, si spengono le luci della chiesa e al suono della "scattiola" viene fatto cadere il manto rosso e bianco che copriva l'abside in occasione delle Quarantore, mostrando la nicchia dell'abside ricoperta da un manto viola su cui spicca la "Croce".  Alla fine vengono accese le luci delle "Stazioni della via crucis" e iniziano i lamenti! Momenti suggestivi a cui partecipa una gran folla di fedeli che ascoltano emozionati i lamenti, anticipatori degli eventi del Venerdì Santo! Molti sono i paesi della Sicilia  che  celebrano questo rito, come ad esempio nella Cattedrale Maria SS. delle Vittorie diocesi di Piazza Armerina, di cui Barrafranca fa parte, alla presenza del Vescovo e di parte del clero diocesano. (Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA


mercoledì 4 febbraio 2015

Il Carnevale a Barrafranca: breve storia.

Il carnevale barrese gode di una lunga tradizione e quello di una volta si svolgeva privatamente, in famiglie che organizzavano serate di ballo tra amici e parenti, nei giorni di giovedì, sabato e domenica.
Esempio di dominò
Molte volte le serate erano aperte alle "maschere" ossia a quelle persone che, vestite con il dominò (un costume realizzato cucendo diversi lembi di stoffa di colore diverso, abbellito con sonagli e completo di mantella e cappuccio), si presentavano nelle case da cui si sentiva uscire il suono della musica e pronunciavano questa frase: "trasi 'a maschira?" (può entrare la maschera?). Se i padroni di casa davano l'assenso, le maschere entravano e facevano un giro di ballo. E così si andava di serata in serata. Le ultime domeniche di carnevale, veniva messa in scena la "recita dei mesi dell' anno" conosciuta dai barresi come "i pignatuna".
Nel 1956 con la morte del maresciallo Troja, assassinato durante il carnevale da un uomo mascherato, si assistette a un arresto dei festeggiamenti. Resistettero solo le serate private.
Per quanto riguarda la manifestazione "I Pignatuna", nel 1966 si ebbe una ripresa grazie all'impegno del prof. Filippo Giuseppe Centonze. Innanzitutto, grazie alla sua personale amicizia con l'onorevole Totò Lauricella, fece togliere il divieto ministeriale che imponeva a Barrafranca di non festeggiare il carnevale, dopo l'increscioso evento dell'uccisione del maresciallo Troja. Poi si impegnò a ricercare e trascrivere le parti recitative che fino ad allora erano orali e infine a realizzare a proprie spese i vestiti dei cavalieri. Il tutto fu organizzato nei locali del Circolo Culturale Sportivo "Morandi" sito in Via Umberto. Grazie al prof. Centonze le parti che prima si conoscevano oralmente, furono finalmente trascritte. La manifestazione fu messa in scena solo per alcuni anni.
Negli anni ottanta, Barrafranca subisce un'inversione di rotta e la nascita di alcune associazioni, tra cui la Proloco, incentivano la rinascita del carnevale.
Nel 1982 si svolse la prima edizione del carnevale "Barrese".


L'entusiasmo fu tanto, grazie al formarsi di "due" gruppi di carristi "La Sfinge" ( formata da artigiani, studenti ed intellettuali si sinistra) e "U Pizzu" (così chiamato dalla "cantunera" (ossia angolo di strada) del Corso presso la quale erano soliti riunirsi, che iniziarono a creare veri e propri carri allegorici (vedi foto sopra).
Da allora, tranne qualche anno, il carnevale barrese è andato avanti, non senza scossoni a causa delle diverse classi dirigenti che si sono susseguite al comando del paese.
Un "cartapestaio" di eccezione fu il maestro  Gaetano Orofino (1924-2005). Insegnante di scuola elementare, ma "costruttore di oggetti in cartapesta" per passione.
Ai carri si associavano “gruppi mascherati”, organizzati allora da associazioni come l’Arcobaleno e la "Sfinge", che si contendevano, a suon di "vestiti colorati", il primo premio. Fino agli anni ’90 il carnevale barrese, grazie ai finanziamenti delle diverse amministrazioni, crebbe sempre più, richiamando turisti da ogni parte della Sicilia, assumendo la denominazione di Carnevale Centro Siculo.  Il programma era di tutto rispetto: tutte le domeniche di carnevale ballo in piazza fino a tarda sera, Giovedì Grasso sfilata dei gruppi mascherati delle scuole barresi di ogni ordine e grado, Domenica la tradizionale rappresentazione "I pignatuna" e infine Martedì grasso con la sfilata dei Carri Allegorici, cui partecipavano non solo barresi ma carri e gruppi dei paesi limitrofi. Inoltre molte serate si tenevano nei luoghi delle tante associazioni presenti nella cittadina.La prima battuta d’arresto si ebbe con la guerra del Golfo (1990/91), e la crisi di tangentopoli fece tutto il resto. Agli inizi del 2000 si cercò di ripristinalo, lavorando su una giuria di qualità tanto che 2010  nella giuria di quell'anno partecipò  un pittore di fama internazionale, quale Lorenzo Maria Bottari; mentre nel 2011 il Carnevale barrese è stato trasmesso in diretta satellitare... Negli anni, le diverse crisi che il Comune ha attraversato, hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e pian piano il Carnevale è andato sempre più scemando, tanto che, ai nostri giorni, è organizzato da associazioni come Tutti in Sella (prima era l'Ass. Pegaso-Amici del Cavallo) che organizza i pignatuna e il neo Comitato Carnevale Città di Barrafranca, sorto nel 2014 con lo scopo di poter riprendere e continuare la tradizione del Carnevale barrese.
Una tradizione antichissima del nostro carnevale sono "I pignatuna"ossia " la recita dei dodici mesi dell'anno" che viene rappresentata l'ultima domenica di carnevale. 
Il termine riprende la parola dialettale "pignata" ossia contenitore di coccio che, appeso tra una strada e l'altra, viene rotto da 12 cavalieri che rappresentano i dodici mesi dell'anno e da un RE e da una REGINA che regolano l'allegra combriccola. Vestiti di gran pompa e sopra a dei cavalli, vanno in giro per il paese a recitare le loro parti e successivamente a rompere "u pignatuni". Le parti recitate la penultima domenica furono composte da Salvatore Giunta detto "u Vaiazzu", mentre quelle recitata l'ultima domenica risalgono a Salvatore Bonaffini (1883-1972), conosciuto come Santu 'u Bagghiu. Il testo poetico è un classico "contrasto" (componimento poetico dialogato) scritto in endecasillabi a rima alterna.
Riportiamo la versione attuale, con le modifiche e i vari rimaneggiamenti dovuti alle successive trascrizioni, che viene recitata durante la rappresentazione:
Regina:
I mi prisintu e sugnu 'na Rigina
tutta superba vistuta di gala.
Aju un mantu e 'na bella vistina
'durnata di brillanti a larga scala.
Mi fazzu accumpagnari ogni 

matina da tutti sti putenti officiala. 

Li tignu tutti sutta stu cumannu chi tutti quanti formanu 'nannu.
Re:
Populu riunitu ccu leanza,
haju vinutu a la vostra presenza
ppi fari carrivali nill 'usanza.
Vi vugghiu dari 'a ma rapprisintanza,
vi vugghiu dari 'a ma ricanuscenza,
ccu tutti sti genti comu stannu.
E tutti misi 'n fila comu sunu
i dudici misi formanu 'n annu.
Unu ppi unu si dannu l'atturnu
prima Jnnaru, lu bon capud'annu.
Gennaio:
Jnnaru sugnu un misi friddulinu,
lu friddu e la nivi sciacca li manu:
ogni massaru si nni va vicinu
pirchì un jè timpu di jri luntanu.
Scarsu di robi, di pani e di vinu,
li sordi su sarbati ppi ccu l'hanu,
friddu e nivi cadi a pruvulinu,
tutti li genti quatalati stanu.
E tu Frivaru chi si malandrinu
su vidi chista genti comu fanu.
Febbraio:
Frivaru sugnu i' sempri contenti
pirchì li ma pinsera 'un sunu tanti,
ammù mangiatu ccu divirtiminti
e pasquinatu ccu mudi fistanti.
Vi fazzu sunari tanti strumenti,
vi tignu allegri e triunfanti:
macari fazzu ridiri la genti,
'nsina a chiddi ccu li panzi vacanti.
E ora Marzu stacci ubbidienti,
l'ha seguìri tu li ma cumanni.
Marzo:
E trasi Marzu comu mi viditi,
ccu lu friddu e li beddi jurnati.
Ora tutti chiddi di li liti
misi a lu suli vi ricriati.
Ora erba unna nni viditi
anchi virduri 'ntra li marcatati,
e ccu la fami, pruvannu la siti,
macari muzzareddi cucinati.
E ora Aprili proteggi li ziti
a 'minzu rosi e sciuri spampanati.
Aprile:
Aprili è primavera a 'minzu sciuri,
ogni picciotta vi veni a' 'durari.
Aprili sempri riccu 'nti l'amuri
ogni picciotta svelta fa cantari;
ogni cavaddu mostra 'u sò valuri
pirchì d'erba si pò saziari.
Ogni massaru, si 'un fa' l'erruri,
ccumenza li sò sarmi a distinari.
E ora Maju fammi stu fauri:
li siminati, beni, fa' 'ngranari.
Maggio:
E trasi Maju e canteremu tutti:
picciddi, ranni, maritati e schetti.
E ora ccuminsaru i primi frutti:
su' li 'nzalati ccu li cipuddetti.
Massari ci nn 'è lunghi e curti,
chi fanu provi di muli e carretti,
siminati cci nn 'è belli e brutti,
anche cci nn’è 'ngranati perfetti.
E trasi Giugnu e va' mitili tutti,
ora va' fa' lu ristu di li detti.
Giugno:
Trasi Giugnu e versu li quattr'uri
ccu la faci sò nni fa trimari.
'Nti Giugnu lu viddanu è gran signuri,
'nti Giugnu lu viddanu è di valuri.
Ccu pani, vinu, tumazzu e dinari
e ccu lu forti metiri lavuri,
nessunu si vo' fari cuntrastari,
nessunu di sunnu si pò saziari.
E tu Giugnittu chi mi sta' a spittari
viditillu tu chiddu c'ha fari.
Luglio:
E c'ha ja fari santissimu santu
senza né pagghia, né uriu e frummin tu;
e havi 'n annu sanu chi mi vantu,
li ma siminati facivanu spavin tu,
li ma stagghiati facivanu l'antu.
Comu si distrudiru 'ntra un mumentu.
Di li detti privati 'un mi scantu:
di chiddi di lu bancu mi spavintu.
Ora c'è Austu chi jè misu a lu cantu,
a uannu si tratta di pignuramintu.
Agosto:
Eccu Austu: c'è pocu di schirzari,
'un si paa ccu chiarchiri e paroli,
si paa ccu chiarchiri e ccu dinari,
ccu stabili e ccu oggetti di valuri.
Havi 'n annu sanu chi staju a spittari:
cchi nni vuliti cchiù di lu ma cori.
'Un sintu chiarchiri e difinsuri,
li cambiali vugghiu prutistari,
e ccu Sittimbri la mmà 'ccomodari
tra mustu, ficudinii e pumadamuri.
Settembre:
Guarda cchi dici st'omu curtisi
ccu sti paroli troppu rispittusi.
I sugnu Sittimbri e accomudu li spisi
e ccu fari feri e atri cosi
sugnu l'eroe di tutti li misi
e di la paci frati amurusi
E tra li pianti vi tignu appisi
tutti li frutti maturi e gustusi.
Ora Ottuvri pigghia stà difisa
termina la vinnigna e va' riposa.
Ottobre:
E trasi Ottuvri e veni l'autunnu,
tutti li fogghi vanu cadinnu
e la vinnigna finirà di tunnu.
Frutti 'nti li pianti un ci nni stannu
e chiddi picca cosi chi ci sunnu
su chiddi frutti chi vi fanu dannu.
A lu massaru lu travagghiu abbunna
'ccumenza a lavurari ppi 'n atr'annu.
E tu Novimbri arricchirai lu munnu:
pripara li siminti ppi chist'annu.
Novembre:
Trasi Novimbri e si pò siminari,
li terri vi restanu un piaciri,
beatu cu cchiù lesta la pò fari
e 'ntra Novimbri putiri finiri.
Ogni massaru, lu sciascu a duviri,
alla 'mmirnata nova si pripara
e Di' lu sapi unna và a finiri.
E tu Dicimbri chi mi sta' a spittari
viditillu tu chiddu c'ha fari.
Dicembre:
Dicimbri sugnu 'i senza paura
ppi dari 'insignamintu a li massara.
Sugnu la ruvina di li picurara.
Chiddi curpiti di rifriddatura
stativi 'n casa e sbattiti tulara.
Di l'annu vicchiu sugnu la chiusura
e di l'annu nuvu la futura.
I dudici misi s'hanu 'llistutu
e tutti quanti l'ammu sintutu.
(Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA




lunedì 2 febbraio 2015

La festa della CANDELORA

Il 2 febbraio la Chiesa festeggia la “presentazione di Gesù al tempio”, conosciuta come CANDELORA, dall’usanza di benedire le candele. La festa è anche detta della “Purificazione di Maria” perché, secondo l'usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi.

Nella Roma antica il mese di febbraio era un momento contrassegnato dal caos, dal rimescolamento tra vecchio e nuovo e non a caso è ancora oggi legato al Carnevale, la festa celebrativa della confusione e del ribaltamento delle regole.
Macrobio sosteneva che la parola latina februarius fosse connessa ai riti purificatori. Februare infatti significa purificare, espiare. Numa aveva dedicato questo periodo al dio Februus: in questi giorni andava purificata la città e onorati i defunti e gli appartenenti al mondo “inferoNella februatio, la purificazione della città, le donne giravano per le strade con ceri e fiaccole accese, simbolo di luce. 

I Lupercali o Lupercalia si festeggiavano alle Idi di febbraio (il 15), per i romani l’ultimo mese dell’anno, e che servivano a purificarsi prima dell'avvento dell'anno nuovo e a propiziarne la fertilità.
La festa della Candelora celebrata dalla Chiesa romana al 2 febbraio fu introdotta solo nel VII secolo, adottando una festa della Chiesa orientale che festeggiava, fin dal IV sec., la Presentazione al Tempio del Signore e la 
Lupercalia
relativa purificazione rituale della madre.  Secondo la legge ebraica,  la donna dopo il parto di un figlio maschio doveva rispettare un periodo di quarantena al quale seguiva una cerimonia di purificazione che le consentiva di rientrare nella comunità (Levitico 12,2-4).
Allo stesso modo Maria Vergine, 40 giorni dopo il parto del 25 dicembre, veniva purificata nello stesso momento in cui il fanciullo veniva “presentato al tempio”. 
Per la purificazione la donna si presentava davanti alla chiesa, ma non entrava: il prete usciva dalla chiesa, le dava la candela in mano, la benediceva e solo allora ella poteva entrare in chiesa per il battesimo del bambino.
La solennità si celebrava a Gerusalemme nel IV sec. La testimonianza di una pellegrina Egeria ci dice che veniva celebrata il quarantesimo giorno dopo l'Epifania, ma quando la data del Natale fu universale, cadde 40 giorni dopo il 25 dicembre, quindi il 2 febbraio. La diffusione di questa festa trovò sanzione con Giustiniano che nell'anno 542, al fine di scongiurare una pestilenza, ne prescrisse la celebrazione nell'Impero, dichiarandone festivo il giorno.
La simbologia della LUCE divina del Cristo è ricollegabile ai miti del Dio Sole e della scintilla fecondatrice, benché ovviamente i significati teologici assumano differenti aspetti.
Il FUOCO è segno di forza interna, di fecondità e di purificazione: così era sentito nei riti pagani. Nel cristianesimo si ancor più purificato nella LUCE, identificandosi nello Spirito e nella Parola di salvezza.
Il rito religioso prevede, durante la celebrazione della santa messa, la "benedizione delle candele" che i fedeli portano a casa. 
Un detto classico sulla "Candelora" recita:
''Madonna della Candelora
dell'inverno sèmo fòra
ma se piove o tira vento,
de l'inverno semo ancora 'rento.''
(Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA