venerdì 25 settembre 2020

Tradizioni di una volta: la carta di dote o carta dotale

"Cascia con dote" (foto dal web)

Tra le tante pratiche di preparazione al matrimonio che si svolgevano a Barrafranca (EN) e in tutto il meridione vi era la compilazione della "carta di dote" o "carta dotale, tradizione attestabile fino agli anni ’50.  Era una consuetudine tipica della cultura meridionale mettere nero su bianco i beni che le rispettive famiglie donavano ai futuri sposi. La dote non era altro che l’insieme dei beni che la famiglia della sposa dava al marito e viceversa, creando così una base nella formazione della nuova famiglia. Conosciuta anche come "capitolo matrimoniale", "minuta", "carta dotale", il momento della sua stesura era, per le famiglie, un avvenimento molto importante perché si rendevano concreti gli accordi patrimoniali relativi alla dote. A garanzia dell’esecuzione dei patti sanciti, intervenivano i testimoni. Le famiglie più ricche andavano davanti al notaio, le famiglie contadine, invece, stipulavano la carta di dote a casa. La dote doveva essere proporzionata allo status sociale degli sposi. Nella società contadina siciliana era diffusa l’abitudine che la sposa portasse in dote al marito un piccolo appezzamento di terra, del bestiame o attrezzi utili al lavoro dei campi. Di obbligo invece era di portare in dote una cassapanca (cascia in siciliano) che conteneva il corredo, come lenzuola, camicie, grembiuli, biancheria e altro che la madre della sposa e la sposa stessa avevano cuto. Da qui il detto siciliano: "A robba ‘na cascia e a figghia ‘na fascia" (La dote nella cassa e la figlia nella fascia): difatti era consuetudine nelle famiglie contadine iniziare a preparare il corredo dopo la nascita di una figlia (ossia appena nata), corredo che sarebbe stato conservato nella cassapanca (cascia) in attesa del matrimonio. 

Matrimonio barrese anni '50

Nel giorno concordato tra le parti, a casa della ragazza, dove oltre ai genitori erano presenti anche zii, nonni e altri parenti, si compilava una lista scritta, in cui si elencava ciò che i rispettivi capifamiglia avrebbero consegnato ai due promessi sposi, all’atto del matrimonio; i parenti convenuti ne erano testimoni. Tra i nobili e i borghesi la lista, che assumeva valore di un vero e proprio contratto, si faceva su carta bollata. Il corredo della sposa era considerato a pezzi e questi formavano un gruppo, p. es. quattro camicie, quattro coperte, quattro paia di calzoni ecc. Si elencavano, in modo analitico, il mobilio, il corredo, come indumenti, lenzuola, le scarpe, le stoviglie. Tutto dipendeva dalla disponibilità economica della famiglia. Per lo sposo, l’elenco poteva contenere, oltre agli indumenti personali, un appezzamento di terra da lavorare, un alloggio autonomo, se non si andava a convivere nella casa paterna, un asino, un maiale vivo o macellato, animali da cortile, indumenti e un certo quantitativo di grano da macinare e in parte da seminare.

Carta di dote

Anni fa ebbi tra le mani la "Carta di dote" che mio nonno materno Giuseppe fece scrivere in occasione del matrimonio della sua primogenita: scritta su un foglio uso bollo, la carta è datata 13 gennaio 1951, scritta per mano della sorella Filippa. Ne riportiamo alcune parti (così come sono state scritte): «Carta di dote che fa alla prima figlia io qui sotto scritti… lasciano alla propria figlia… prima tutto £  100.000 dico cento mila tempo tre anni… secondo mobile un comò un comodino un moarro una tavola da mangiare… Biancheria 3 coltri una bianca una canalia una il colore che viene 3 paia di lenzuola 2 ricamate e uno con ricamo 6 paia di cuscini 3 pezzi di tovaglia una di casa una aspugna uno lavorato… uno materazzo 8 camicie… e la zita come si trova 2 abiti 2 sottane un partò 2 paia di scarpe ricevi i più distinti saluti.» 

FONTI: Giuseppe Pitrè, Usi e costumi, credenze  e pregiudizi del popolo siciliano, volume secondo, Palermo, 1889; Federica Proni, La dote e le sue carte, TiPubblica, 2017; Fonti orali (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

mercoledì 16 settembre 2020

“U Cappidduni” di Barrafranca- l’antica Chiesa Madre che non c’è più

Disegno Madrice Vecchia

Non tutti sanno che a Barrafranca (EN) fino agli inizi del 900 esisteva una chiesa Madre ubicata “a Batia”, Piazza Fratelli Messina, antecedente all’attuale Chiesa Madre. Di questa vecchia costruzione non rimangono altro dei racconti degli storici e di qualche anziano che ha avuto l’onore di vederne i ruderi.

Un’antica testimonianza dell’esistenza di questa chiesa c’è data dal sopra porta di Palazzo Butera a Palermo, che raffigura su tela com’era Barrafranca nel settecento. Forse di origine bizantina, già nel 1575 vi si seppellivano i morti. La chiesa fu riportata col nome di “Santa Maria del Soccorso”, ma era conosciuta dai barresi come “U Cappidduni”, sita in Piazza Monastero, attuale Piazza Fratelli Messina. Parzialmente distrutta dal terremoto del 1693, in un atto comunale del 1824 risulta che la chiesa era già diroccata nel 1727. Ricostruita solo parzialmente, fu destinata per decreto reale a ospedale dei poveri. Fu chiusa al culto nel 1765. 

Particolare del sopra porta di Palazzo Butera (PA)

Nel 1933 il podestà Mattina ne stabiliva la demolizione. Secondo lo storico barrese Angelo Ligotti, la chiesa esisteva già nel XIII sec. o addirittura risalirebbe ai re Normanni o membri della loro famiglia. Alcuni resti rimasero fino al secondo conflitto mondiale, che, con i bombardamenti del luglio 1943, ne sancirono la definitiva scomparsa.

La chiesa è riportata con il nome di Santa Maria del Soccorso, anche se i cittadini barresi la conoscevano come la “Chiesa du Cappidduni”.

Disegno interno Madrice Vecchia

La chiesa era formata da un’abside e da due navate laterali (planimetria uguale alla basilica bizantina di Sofiana), probabilmente bizantina. La facciata era posta a ponente, con un piccolo atrio che immetteva nell’entrata principale. Le colonne e gli archi furono aggiunti dagli Svevi (XIII sec.) come anche il campanile, posto nell’angolo destro della chiesa. Nel periodo Rinascimentale con i nobili Barresi il campanile subì un rifacimento e per la sua forma strana, fu detto “Cappidduni”. Qui si annidavano uccelli rapaci notturni. Con riferimento a ciò, è rimasto nella memoria dei più anziani il detto “Sì cchiù vecchia da pigula du Cappidduni”, proprio a indicare la vetusta età del campanile, rifugio dei rapaci.

In mancanza d’immagini fotografiche, la ricostruzione della chiesa è stata realizzata su indicazione del contratto di ristrutturazione stipulato dal sindaco Benedetto Giordano con il perito comunale Scarpulla il 1° novembre 1883.

Vi erano presenti: la tela duecentesca di“Maria degli Angeli”, un’immagine di san Francesco e di una figura imperiale riconducibile a Federico II. La tela è menzionata da Vito Amico il quale, descrivendola, dice che raffigurasse la Madonna circondata da angeli e da frati francescani riformati con la figura del Santo. La tela di Maria SS. della Purificazione, che si trova nell’attuale chiesa Madre e da cui prende il nome. Nel 1745 fu trasportata alla nuova chiesa Madre, da come si evince da un inventario redatto in quell’anno dal vescovo di Catania (mons. Pietro Galletti vescovo dal 1729 al 1757). Nel Dizionario del Nicotra, la tela è attribuita a Cateno Gueli, un artista di Monreale. Di recente la tela è stata attribuita a Filippo Paladini, il celebre pittore toscano morto nel 1614 a Mazzarino. L'attribuzione è dovuta al fatto che sul dipinto, prima del restauro, si distingueva una F e in seguito PAL. Vi era un altare della Madonna del Carmelo.

FONTI: Luigi Giunta, Breve cenni storici su Barrafranca, 1928; Vito Amico, Dizionario topografico della Sicilia, a cura di Gioacchino di Marzo, volume primo, Palermo, 1855; Francesco Nicotra, Dizionario illustrato dei comuni siciliani, Palermo 1907; Angelo Ligotti, Notizie su Convicino…, Palermo, presso la Società Siciliana per la Storia Patria, 1958; Angelo Ligotti, La penetrazione cristiana nella zona di Barrafranca, Piazza, Pietraperzia e Mazzarino secondo le recenti scoperte, Palermo 1965 (da cui sono tratte le foto); Liborio Centonze, Federico II di Svevia e Bianca Lancia da Mazzarino, Bonfirraro Editore; Liborio Centonze, Navigando i fiumi, vol. I, Edizioni Nova Graf, 2013. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

martedì 8 settembre 2020

I RITINI- Vestizione e sfilata di cavalli e carretti.

Barrafranca- Ritini 2015
Tra mille colori, suoni e musica, nel pomeriggio dell'8 settembre si svolge a Barrafranca (EN) la sfilata dei "RITINI" in onore della compatrona Maria SS. della Stella. Una tradizione lunga più di un secolo che richiama ogni anno la partecipazione di tanti barresi e non, tra quelli che partecipano con i loro cavalli e carretti pieni di grano da offrire alla Madonna e chi, invece, assiste curiosa alla "sfilata colorata dei "RITINI", così chiamata in riferimento "alle redini usati per impartire i comandi al cavallo".
Interessante la preparazione dei cavalli, detta in dialetto "vestiri", in cui si usano accessori ben precisi. I cavalli sono preparati con "varduna" (basti), su cui vengono sistemati "i visazzi" (bisacce) piene di grano. Sono addobbati con "pistulera" sistemata sopra la sgroppa del cavallo, con "cudera" posta nel sottocoda, con "battiscianchi" (pon pon colorati) posti ai fianchi del cavallo, con "tistera" (testiera) che ricopre la testa e il muso del cavallo, al cui vertice viene posto un pennacchio. Il  tutto completato di campane, specchietti, borchie e "giummi" ossia pon pon di lana colorata. E’ un’esplosione di giallo, verde e rosso, di riflessi di luce emanati dagli specchietti e dal luccichio delle borchie dorate, di suoni di campane, campanacci e "cianciane" (sonaglini). Vedere i cavalli bardati in questo modo, mette allegria e dà il senso di festa. Tanti i carretti, di mirabile fattura, restaurati e messi a nuovo per l’occasione, alcuni recanti l’effige della Madonna e altri le classiche scene siciliane, di pupi, dame e cavalieri. Di primo pomeriggio la banda musicale accompagna la commissione organizzatrice della festa a raccogliere per le vie cittadine il grano offerto dai fedeli, trasportato su un camioncino (anticamente era un carretto), mentre i cavalli e i carretti si ritrovano tutti davanti alla scuola Europa. Quando la raccolta è terminata e tutto è pronto, accompagnati dal suono festante della banda musicale, inizia la sfilata che terminerà davanti al salone della chiesa Maria SS. della Stella, dove sarà consegnato il grano offerto alla Madonna. Molti sono i curiosi che si recano nel salone a vedere la quantità di grano che si è accumulata nel magazzino, a far previsione sul raccolto e su quanto è stato donato dalla gente. Sono momenti di aggregazione sociale, di riscoperta del senso di appartenenza alla comunità, di giovialità e accoglienza che caratterizza noi siciliani.
Sotto potete ammirare le foto della vestizione e della sfilata dei "Ritini" della festa del 2015. Si ringraziano le  famiglie Petrino, Mulara e Stellino e per la loro collaborazione. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)
RITA BEVILACQUA 








(Foto e materiale sono soggetti a copyright)