mercoledì 23 giugno 2021

"U lavuriddu": il rituale festivo dei germogli di grano

Lavuriddu

Che spettacolo vedere quei longilinei e altezzosi filamenti di colore verde o giallo paglierino spiccare da vasi di terracotta finemente lavorati e preparati per ricordare o esorcizzare la vittoria della vita sulla morte. Stiamo parlando du "LAVURIDDU", cosi chiamati in dialetto siciliano, ossia i germogli di grano o altri legumi che sono preparati dalle donne in occasione di determinate ricorrenze. A livello rituale, u lavuriddu è impiegato in alcune feste stagionali che corrispondo al ciclo di lavorazione del grano, che può essere così tripartito: Festa dei morti/Natale (solstizio d’inverno) in corrispondenza della semina del grano; San Giuseppe/Settimana Santa (equinozio di primavera) in corrispondenza della germinazione del grano; San Giovanni Battista/San Calogero (solstizio d’estate) in corrispondenza della raccolta del grano.

Lavuriddu

Come attestato dall'antropologo palermitano Giuseppe Pitrè, "u lavuriddu" è realizzato seminando in terraglie (piatti o ciotole) i semi di grano, di ceci o di altri legumi, sopra uno strato di stoppa o canapa (adesso si usa il cotone), mantenuto bagnato per far si che germogli e riposto al buio perché cresca di un bel colore giallo paglierino, evitando che la fotosintesi clorofilliana lo faccia diventare verde. Anche in questi piccoli accorgimenti, si nota il simbolismo che pervade l’intera preparazione: i semi sono simbolo di nascita, il buio delle tenebre della morte e il germogliare simbolo della vita che rinasce dal seme. In realtà, anticamente, le donne lo preparavano senza rendersi conto di tanto simbolismo, ma eseguivano un processo che si tramandava da padre in figlio. Questa simbologia affonda le sue radici nel periodo romano del mito del dio Adone, anche se era già «venerato dalle popolazioni semitiche della Siria e della Babilonia e dai Greci fin dal VII secolo a.C.» (J. G. Frazer, Il ramo d’oro, cap. XXIX), dove vigeva l’usanza di offrire al dio germogli di grano, "i giardini di Adone", ossia dei cestini o vasi, pieni di terra, nei quali le donne seminavano frumento, orzo, lattuga e vari tipi di fiori, che poi curavano per otto giorni e allo scadere del tempo, quei recipienti erano portati via con l’effige del morto Adone e gettati in mare. Per questo il "lavuriddu"è conosciuto anche come "giardino di Adone". I romani riprendono dai greci il culto di Adone, il giovane ragazzo di cui si era innamorata la dea Afrodite e che, dopo essere stato ucciso da un cinghiale, ottenne da Zeus, commosso per il dolore della dea, di passare una parte dell’anno tra i vivi, per poi tornare periodicamente nel mondo dei morti. Questo culto, simbolo del risveglio della natura, in Grecia era celebrato il primo giorno di primavera e anche a inizio estate.

Lavuriddu presente nell'Altare della Reposizione (Saburcu)

I siciliani lo chiamano "lavuriddu", diminutivo di "lavuru", termine con cui i contadini siciliani chiamano il campo di grano (lavuriddu rappresenta in piccolo "u lavuri"). Questo termine deriva dal latino "labor laboris" che significa lavoro, fatica, proprio a richiamare la fatica e lo sforzo con cui i contadini preparano il campo di grano.

Treccia di lavuriddu

Ancora adesso questi germogli sono preparati per abbellire l’Altare della Reposizione, in siciliano "Saburcu", mentre è quasi del tutto scomparsa la tradizione di prepararlo perla festa di san Giovanni Battista (24 giugno). Per tradizione la mattina del 24 giugno i ragazzini, con un piatto di "lavuriddu", andavano di porta in porta da parenti e amici per farsi tagliare in testa un ciuffo di "lavuriddu" in senso ben augurale. Dopo il ragazzino otteneva in dono pochi spiccioli o un santino. Alcune ragazze, invece, tagliavano alcuni germogli, li intrecciavano, li legavano con nastrini colorati e li regalavano all'amica del cuore, che doveva conservarli, diventando così comari per tutta la vita.

FONTI: Rita Bevilacqua, SETTIMANA SANTA A BARRAFRANCA, Bonfirraro Editore, 2014; "San Giovanni Battista e alcune tradizioni barresi" di Rita Bevilacqua pubblicato il 24 giugno 2019 sul blog- Il mio paese Barrafranca; "Cumpari e sangiuvanni" di Rita Bevilacqua pubblicato nella rivista ARCHEO NISSENA numero unico, Caltanissetta, 2015; I germogli. Un viaggio simbolico dall’Iran all’Italia meridionale di Gioele Zisa, pubblicato il 3 giugno 2019 su treccani.it/magazine/atlante/cultura. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

venerdì 11 giugno 2021

"I paggetti di sant’Antonio" antica tradizione popolare dedicata a sant’Antonio di Padova

I paggetti di sant'Antonio (foto Salvatore Licata)

Quando la devozione popolare ai Santi era motivo di unione, d’imput a esternare un senso di religiosità popolare che varcava i canoni classici del credo religioso, fino agli anni ’60 del secolo scorso, si svolgeva a Barrafranca (EN) una particolare tradizione religiosa popolare chiamata "I paggetti di sant'Antonio". Si trattava della vestizione in divisa di alcuni bambini i quali partecipavano alla processione solenne organizzata dai frati del Convento di San Francesco in occasione del "Corpus Domini".  Prima della riforma del Concilio Vaticano II (1962-1965) la festa durava otto giorni e ogni Chiesa organizzava una solenne processione che si snodava per le vie della propria parrocchia. La processione procedeva per le vie del quartiere, dove erano allestiti degli altarini, realizzati appendendo al muro esterno della casa, una coperta di seta o di ciniglia, riccamente lavorata, su cui sopra era appesa un’immagine sacra. Gli altarini erano arricchiti con immagine sacre, fiori, candele, spighe o pane e vino. Particolare era la processione organizzata dai frati che vedevano la presenza, appunto, dei paggetti di sant'Antonio, ossia dei bambini vestiti con un’uniforme simile nella forma a quella della Guardia Svizzera pontificia ma di colore diverso: pantaloni e casacca color carta da zucchero (azzurrino)con strisce nere, mantello nero (il nero ricorda il saio del Santo) e in testa basco nero con piuma bianca. Al fianco portavano una piccola spada. Al momento dell’elevazione dell’Ostensorio, mentre la banda musicale suonava il canto "T’adoriam Ostia Divina"e i fedeli intonavano inni sacri, i paggetti di sant'Antonio sguainavano le spade. Lo ricorda bene lo storico barrese Salvatore Licata quando, da bambino, vestiva i panni del paggetto e seguiva, assieme ai ragazzini della parrocchia, la lunga e spesso difficoltosa processione del Corpus Domini che si snodava tra le vie del quartiere Serra e Poggio (le strade di allora erano polverose e piene di ghiaia).
Da altre testimonianze emerge che i bambini vestiti da paggetti andavano in Chiesa anche il 13 giugno durante la celebrazione liturgica in onore di Sant’Antonio che si svolgeva nella Chiesa di San Francesco, dove è presente un simulacro del Santo padovano.

Paggetto di Sant'Antonio (foto Alessandro Costa)

Alessandro Costa
(classe 1945) ci racconta che erano i frati a fornire ai fedeli, che ne facessero richiesto, le indicazioni e il modello del paggetto. A organizzare la presenza dei paggetti sia per i festeggiamenti in onore di sant'Antonio, sia per il Corpus Domini erano padre Ludovico, padre Agnello, padre Guardiano e alcune fedeli della parrocchia. 

Paggetto di Sant'Antonio (foto Giuseppe Salvaggio)

Alcuni vestitini furono realizzati per grazia ricevuta. E’ il caso del compianto Giuseppe Salvaggio (classe 1945). La figlia Loredana ci racconta che la nonna, dopo la morte di un predicente figlio, aveva posto sotto la protezione di sant'Antonio il piccolissimo Giuseppe, affinché non morisse come gli altri. Scampato il pericolo, la madre andò in chiesa e a Padre Guardiano le diede le indicazioni per realizzare il vestitino da paggetto di Sant'Antonio.
Da alcune ricerche è emerso che la tradizione dei bambini vestiti da paggetti nella processione del 13 giugno la ritroviamo a Messina.

Messina 1962- Paggetti nella processione di sant'Antonio di Padova (foto web)

Da fonti storiche la devozione al Santo padovano si ebbe grazie al Beato Annibale Maria di Francia (1851-1927), grande devoto di Sant'Antonio e fondatore della Basilica Antoniana. Negli anni Messina è diventata il centro della devozione al Santo: difatti ogni anno migliaia di fedeli, provenienti non solo dalla provincia di Messina, ma da varie zone della Sicilia e dalla vicina Calabria, raggiungono la Basilica di S. Antonio per rendere omaggio al Santo e partecipare all'imponente processione del Carro Trionfale (l’attuale carro risale al 1946; il primo al 1931). Inoltre bimbi vestiti da paggetti sono presenti anche nei festeggiamenti che si svolgono a Padova e in altri paesi del Veneto. Da tutto ciò, si potrebbe ipotizzare che la tradizione, già presente a Messina nella prima metà del 1900, sia arrivata a Barrafranca ha metà del ‘900, portata dai frati francescani presenti nel Convento barrese. Difatti, dalle interviste sopra citate e dalle foto d’epoca, si evince che la tradizione si svolgeva anche a Barrafranca già negli anni '50. 
In questa tradizione centrale è la presenza dei bambini, caratteristica questa che riscontriamo in altre pratiche popolari come le orfanelle dietro i cortei funebri, le bimbe vestite di bianco nelle processioni del Corpus Domini o del Venerdì Santo. Simboli di purezza e d’innocenza, la presenza dei bambini qui assume un ruolo speciale, poiché Sant'Antonio è stato da sempre considerato protettore dei bambini, con riferimento ai tanti miracoli compiuti dal Santo verso i piccoli.

FONTI: Salvatore Licata, Carmelo Orofino, "BARRAFRANCA. La storia, le tradizioni, la cultura popolare", 3ªedizione, 2010; "PADOVA. LA PROCESSIONE DEL SANTO E I TREDICI PAGGETTI. NELLA TRADIZIONE, UNA SERENA BARRIERA AL CONFORMISMO NEOPAGANO" di Elisabetta Frezza, pubblicato nel giugno 2013 in ricognizioni.it; www.basilicaantoniana.it; Fonti orali tra cui Salvatore Licata, Alessandro Costa, Loredana Salvaggio. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA