giovedì 31 ottobre 2019

“I bambini e i doni dei morti”. La festa siciliana dei murticiddi.


(foto dal web)
Il 2 novembre ricorre la “Commemorazione dei defunti”, chiamata dai siciliani la Festa dei Morti. La festività fu celebrata per la prima volta dalla Chiesa nel 998, per disposizione di Odilone di Mercoeur, abate di Cluny, che ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 novembre come giorno solenne per la “Commemorazione dei defunti”.
In Sicilia la commemorazione è l'occasione per commemorare i propri cari e ricordarli. E’ anche l’occasione per spiegare e insegnare ai bambini a non aver paura della morte. In questo giorno si rinnova il senso di appartenenza a una famiglia, grazie al ricordo di chi non c’è più che, generandoci, ha permesso la continuità e lo sviluppo della famiglia stessa. Elemento cardine di questa giornata sono i “doni” che i cari defunti portano ai bambini, ossia il regalo che, la notte tra l'uno e il due novembre, i cari defunti portano ai bambini sempre se questi si fossero comportati bene durante l'anno. La tradizione vuole che in questo giorno i defunti, avendo voglia di rivedere i loro famigliari, abbiano l’opportunità di uscire dalle loro tombe e di andare, mentre tutti dormono, nelle case dei famigliari a visitarli e a lasciare dei doni ai bimbi. 
Pupi di Zucchero
Non c’era bambino che la mattina del 2 novembre, impaziente di cercare, non andasse in giro per casa il regalo dei morti, nascosto con astuzia dalle madri, in posti meno sospettosi. Si rovistava anche nei posti più strani della casa, finché non saltava fuori il regalo. In cosa consisteva il tanto atteso regalo dei Morti? Questo poteva essere un vassoio di dolci, come taralli, frutta Martorana o Pupi di zucchero, di frutta secca, oppure giocattoli o abiti.  
Antonio Fragale, professore di Antropologia ed esperto di tradizioni popolari siciliane, vede in questa festa una funzione ludica – istruttiva: «Il primo novembre è la giornata in cui la società siciliana decide che occorre impartire ai bambini un’educazione finalizzata al rispetto dei propri morti. Educazione tesa anche all’esaltazione dell’identità familiare, anche se poi a portare i doni non è “il nonno defunto”, ma “i morti” in senso generico». Il valore educativo della festa consiste proprio nel rompere la soglia della paura col mondo dei morti e ciò mediante il dono: si spiega ai bambini che i morti li vogliono bene, tanto da portargli in dono quello che di più bello possono desiderare: giocattoli e dolci. In questo modo i genitori insegnano ai loro figli ad avere un rapporto tranquillo con la morte. La morte non deve far paura e il modo come esorcizzarla il siciliano lo trova andando al cimitero a visitare i propri cari defunti, non solo in segno di rispetto, ma di ringraziamento per i doni ricevuti.
Canestro con dolci e frutta Martorana
Nell'isola questa festa è vissuta in modo gioioso, dedicata soprattutto ai bambini e strettamente legata al valore simbolico del cibo. Esiste una relazione molto stretta tra i morti e il cibo. « La festa dei morti è una cena organizzata per le anime dei morti» spiega l’antropologo siciliano Antonino Buttitta (1933/2017) nel documentario “Il 2 Novembre: La festa dei morti in Sicilia” che spiega la festa dei defunti secondo la tradizione siciliana e il legame profondo con la terra e con il cibo, elementi di congiunzione tra il mondo trascendente e quello trascendentale.  Alla fine di ogni ciclo annuale che in agricoltura va da novembre a novembre, i morti ritornano. E ritornano con le stesse caratteristiche umane: amori odi o bisogni. E uno di questi bisogni è il cibo. Quindi i morti ritornano per mangiare. «Questa cena, questi dolci preparati per i morti in realtà poi – spiega Antonino Buttitta- si danno ai bambini. Facendo mangiare ai bambini “il cibo dei morti” ricostituisci la continuità tra la vita e la morte. I pupi rappresentano le anime dei morti (infatti si chiamano pupi a cena). I bambini mangiandole in realtà incorporano i morti e in questo modo li fanno rinascere».
Fonti: www.santiebeati.it; www.sicilyland.it; documentario “Il 2 Novembre: La festa dei morti in Sicilia”nato dall’idea di Fabrizia Lanza, regia Giacomo Costa, pubblicato nel 2017 su “La Torre del Gusto Channel”; blog: Il mio paese Barrafranca. articolo “La festa dei Morti: tra storia e tradizioni” di Rita Bevilacqua. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA 

domenica 13 ottobre 2019

"Quannu Annunziata veni di luni, si fa festa a Muntrauni"- sentenziava un antico detto barrese

Monte Navona visto dalla SP 15

I barresi, da buoni siciliani, motteggiavano su tutto. Alcuni detti traevano spunto da favole o leggende narrate per meravigliare e stupire grandi e piccini. Uno di questi detti trae spunto da una leggenda popolare che vede come protagonista Monte Navona, sito tra i paesi di Piazza Armerina e Barrafranca. Alto 754 metri,  appartiene alla catena dei Monte Erei, nella Sicilia centro-meridionale. 
“Quannu Annunziata veni di luni, si fa festa a Muntrauni”, sentenziava il detto. Si raccontava che quando la festa dell’Annunziata (ossia la festa dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria, che la Chiesa festeggia il 25 marzo) coincide di lunedì, a Monte Navone si fa festa con una particolare fiera. In un passo del libro “Piccola Pretura” di Giuseppe Guido Loschiavo si legge che: «Al tempo dei Saraceni, sulla sommità del monte, c’era una città. Fu distrutta dalle guerre successive. Mia nonna mi raccontava che, dopo che la città era stata distrutta, un tale mastro Carretto, contadino di Piazza Armerina, andò a caccia sulla montagna, precisamente nella ricorrenza dell’Annunziata, si ridusse sul piano del monte. E quivi, era lunedì, trovò una ricchissima fiera di animali e merci. Volle acquistare qualche cosa da portare a casa come ricordo; però i venditori gli dissero che tutto quello che vedeva non si vendeva, si regalava. Volle, allora, mastro Carretto prendere qualche moneta d’oro da un banco di cambiavalute, e questi e gli altri venditori lo incoraggiarono a prendere quanto più potesse. Mastro Carretto si riempì le tasche dei pantaloni, della cacciatora, il fazzoletto, il berretto e lieto per l’avventura, che lo rendeva ricco, mosse per tornare a casa. Allora gli strani mercanti lo avvertirono che egli avrebbe potuto portare a casa indisturbato il tesoro purché non si fosse voltato indietro fino all'abbeveratoio dell’usignolo. Mastro Carretto rise, scrollò le spalle e si mise in cammino leggero leggero perché scendeva al piano e la via era comoda. Fatti pochi passi cominciò a sentire dentro di se rumori di catene, suoni di campanelli, voci di richiamo, grida di minacce, chiasso, scalpiccio di gente. Si mise a correre e il fracasso d’appresso. Sentiva una torma di gente alle calcagna come se volessero accopparlo. Resistette, resistette, finché, terrorizzato, a pochi metri dalla fonte si voltò indietro. Aveva Perduto! Dietro di lui non c’era nulla, però mani invisibili lo graffiarono, gli strapparono a bravi i vestiti e gli tolsero il denaro, lo percorsero, lo lasciarono privo di sensi sul luogo. Molte ore dopo alcuni viandanti lo trovarono ancora per terra e dalle ustioni che aveva nel corpo, convennero che i diavoli l’avevano conciato così». 
Monte Navona visto dalla SP 15
Altra variante è quella dal maestro barrese Sandro Messina, riportata in un suo manoscritto dal titolo “I disperati”:
«La notte dell'Annunziata, quando questa viene di lunedì, perché allora gli spiriti degli uomini là sepolti, si alzano e fanno la fiera. Difatti c'è un proverbio che dice:
"QUANNU ANNUNZIATA VENI DI LUNI SI FA FESTA A MUNTRAUNI"
Si racconta di un tale, un pastorello, che pernottò sul monte col suo gregge proprio la notte dell'Annunziata a sua insaputa, a mezzanotte si svegliò avendo sentito un gran fracasso: si accorse che tanta gente vendeva cose da mangiare. Avendo appetito, tirò dalla sua tasca quattro soldi e comprò alcune arance e un pezzo di pane. Appena si saziò, comprò altre arance di cui si riempì la "sacchina". Appena cominciò ad albeggiare, non vide più niente, tornò a casa e quando disse ai suoi fratelli:
- Vi ho portato delle belle arance di Montenavone! - questi risposero:
- Quanto mai Montenavone ha fatto arance! -
- Guardate, guardate! - diceva il pastorello, sicuro del fatto suo, e svuotava la "sacchina" guardando pure lui. Che cosa videro? Cosa incredibile per quei semplici pastori: le arance erano diventate marenghe d'oro del tesoro di Montenavone. Si parla pure di un contadino che, zappando, abbia trovato una giara piena di marenghi d'oro, e abbia riempito una bisaccia e portata a casa sul suo mulo. Si dice che avrebbe riferito alla moglie ciò, ma che, per la troppa gioia che ne provò tutto l'oro sia scomparso e si sia trasformato in gusci di lumache, per punizione per non avere saputo mantenere il segreto, secondo quanto gli aveva ordinato lo spirito che in sogno gli indicò il luogo del tesoro. Dato che le leggende sono molte, la gente parla dei diversi modi come impossessarsi del tesoro».
FONTI: Giuseppe Guido Loschiavo, Piccola Pretura, 1948; Sandro Messina, I disperati, Storie e leggende di Barrafranca negli anni '40 e '50. 
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA 



venerdì 4 ottobre 2019

La festa di san Francesco d’Assisi a Barrafranca, tra religiosità e tradizioni.

Fercolo di San Francesco (anno 2019)

Il 4 ottobre (nella tarda notte del 3 ottobre 1226 Francesco muore a Porziuncola; la mattina del 4 il corpo viene traslato da Porziuncola alla chiesa parrocchiale di san Giorgio ad Assisi) si festeggia san Francesco d’Assisi, dichiarato, il 18 giugno 1939, patrono principale d’Italia. 
Anche a Barrafranca (EN) si festeggia san Francesco, grazie alla precedente presenza dei frati francescani. Difatti nella chiesa di San Francesco (chiusa perchè ancora in fase di restauro), è presente una statua del Santo, scolpita da Nicola Mancuso nel 1806 e attualmente custodita nella chiesa Madre. Nonostante il grande ruolo che nella cittadina svolgevano i frati, non sempre è stato loro concesso di portare la statua in processione per la tradizionale “via dei Santi” e la festa si è svolta sempre in tono minore rispetto alle altre feste, com’è costume della loro regola. Fino alla chiusura al culto della chiesa di san Francesco, avvenuta nel 1999, i festeggiamenti prevedevano la messa solenne nella suddetta chiesa, sita in piazza Regina Margherita, al cui termine veniva esposta la statua davanti al sagrato della chiesa, per la benedizione degli animali e, in casi particolari, era portata in processione lungo la piazza circostante. Alla fine si assisteva al caratteristico spettacolo dei “palloni aerostatici”. La benedizione degli animali richiama il grande amore che il Santo aveva verso la “natura tutta” e gli animali in particolare. Basti ricordare l’episodio del lupo. 
Padre Agnello
Per quanto riguarda i palloni aerostatici, questi furono introdotti a Barrafranca da fra Agnello (1884-1977), padre dell’ordine dei frati minori. Molto legato al culto del Santo, padre Agnello cercò di valorizzarne la festa, realizzando quelli che i barresi chiamano “i palluna di san Francì”. Si tratta di enormi palloni realizzati con materiali semplici, poveri come la carta velina di diversi colori e il fil di ferro. Si uniscono varie strisce di carta velina colorata con semplice colla vinilica, a formare un enorme pallone, nella cui base sono legati dei fili di ferro al centro dei quali è messo un po’ di cotone imbevuto di benzina. Appena il cotone è acceso, l’aria che si crea dentro il pallone, lo fa gonfiare e, alzandosi in cielo, vola via. Simboli di gioia e di allegria, il loro volo simboleggia l’elevarsi dell’anima verso il cielo, alla ricerca di Dio. Difatti la festa andava a buon esito quando i palloni riuscivano a volare alti in cielo senza bruciarsi. Con il trasferimento di padre Agnello in un altro convento, la costruzione dei palloni andò scemando, tanto che scomparvero. 
"Palluni di San Francì" (anno 2017)
Dopo alcuni anni, il recupero dei palloni si ebbe grazie al maestro Gaetano Orofino (1924-2005) che insegnò ad alcuni della Proloco locale come realizzarli. Uno di questi fu il signor Malfitano che iniziò a costruire i palloni aerostatici nella sede dell’Associazione “Gruppo Spettacolo Arcobaleno”. Da allora ogni anno l’Associazione Arcobaleno si adopera affinché la tradizione si perpetui. Difatti sono le giovani leve a realizzare i palloni. Negli anni anche gruppi di scolaresche e altre associazioni, come il “Gruppo Nuovamente Tradizione”, si sono cimentati nella costruzione dei palloni. Grazie all'impegno di tutti loro, questa tradizione continua ancora a persistere. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA