martedì 26 febbraio 2019

PEPPE NAPPA: la più antica maschera siciliana


Carnevale è sinonimo di maschere. Non c’è regione italiana che non che non abbia una sua maschera, tutte prese in prestito dalla commedia dell’arte, e divenute in seguito emblema e simbolo dei festeggiamenti carnevaleschi.
La maschera più antica della Sicilia è quella di PEPPE NAPPA. Incerte le sue origini. Secondo gli studiosi, Peppe Nappa fa parte di quel gruppo di maschere che, tra Seicento e Settecento, irrompono con la loro straordinaria carica umana di vizi e virtù sulla scena della Commedia dell'Arte. Incerto anche il luogo di origine: secondo alcuni Palermo, altri invece la localizzano a Messina o Trapani, altri ancora lo attribuisco originario della città di Sciacca (AG). Peppe (diminutivo dialettale di Giuseppe) soprannominato Nappa (nappa in siciliano è la toppa che erano cucita sui pantaloni per rammendarli) è un personaggio pigro, fannullone, in altre parole “un uomo da nulla”. Le sue origini sono povere, come dice il suo soprannome Nappa (toppa nei pantaloni), associandolo all'elemento simbolo della miseria che, nell'immaginario collettivo, è rappresentato appunto dalla Nappa, dalla “pezza” che anticamente era cucita su abiti laceri. I suoi abiti sono poveri, anche se non hanno toppe. 

Il costume di Peppe Nappa è costituito da un vestito azzurro con dei grandi bottoni, una fascia al collo e delle maniche e dei pantaloni molto lunghi. In testa porta un cappello in feltro e ai piedi indossa delle scarpe bianche con la fibbia. Non porta maschera ne trucco, ha il viso raso, da sempliciotto. Egli è un servo pigro, dormiglione e goloso, regolarmente picchiato per ogni guaio che combina. Caratteristica peculiare è la fame insaziabile, unita a una smisurata golosità, che fa della cucina il suo ambiente favorito e del cibo il suo primario interesse. In pratica una versione siciliana del celebre Pulcinella napoletano, ma più agitato e agile.
Dagli anni ’50 è stato scelto come maschera del Carnevale di Sciacca. 
Peppe Nappa è così conosciuto e popolare tra il popolo siciliano che gli ha dedicato alcune filastrocche, in dialetto, recitate durante i giochi fanciulleschi. Ne riportiamo una delle tante versioni:
-Peppe Nappa munci la vacca
muncila tu ch'a mia mi scappa
e mi scappa na lu chianu
Peppe Nappa lu ruffianu.

(La foto di destra è tratta da: “Maschere, Favole, Costumi, Personaggi” – Editrice MAP – Roma- Anni ’50, pubblicata online dal Prof. U. Bartocci)
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA


mercoledì 20 febbraio 2019

La MASCHERA e il suo arcaico significato


Maschere del teatro classico
Nascondere il viso o l’intero corpo sotto diverse spoglie, è stato uno dei primi atti sociali dell’uomo.
La maschera o il mascherarsi è da considerarsi un gesto antico, primordiale della vita umana, utilizzato per riti religiosi, rappresentazioni teatrali, feste folkloristiche.
Con il termine Maschera si indica un oggetto che ricopre totalmente o parzialmente la figura umana per nascondere chi la indossa e dissimularne l’identità, o per dare sembianze diverse. Il vocabolario Treccani riporta questa definizione: «Finto volto, di cartapesta, plastica, legno o altro materiale, riproducendo lineamenti umani, animali o del tutto immaginari e generalmente fornito di fori per gli occhi e la bocca; può essere indossata a scopo magico - rituale (per es., per rappresentare con efficacia antropomorfica l'essenza divina o demoniaca), bellico (per incutere terrore al nemico), di spettacolo (per comunicare con immediatezza il carattere e la funzione di un personaggio), di divertimento (come le maschere dai tratti spesso grotteschi che si usano per il carnevale), o semplicemente per non farsi riconoscere (e in questo caso potrà avere forma molto semplice)».
Maschere teatrali
Difficile risalire alle origini etimologica del termine. Due le ipotesi principali. La prima fa derivare il termine da una voce preindoeuropea masca «fuliggine, fantasma nero». La seconda, invece, suggerisce la derivazione da masca «strega», voce regionale di area ligure e piemontese cui appartengono anche i derivati mascaria «incantesimi, stregoneria, magia» e mascassa «stregona, stregaccia». Masca, a sua volta, deriva dal latino tardo masca(m), sostantivo femminile usato nel senso di “strega”. Secondo il folklorista Paolo Toschi nelle zone della Lombardia “masca” significa prima di tutto uno spirito ignobile, il quale, simile alle strigae romane, divorava uomini vivi. Sembra che originariamente “masca” significasse un morto, avvolto in una rete per ostacolare il suo ritorno sulla terra, costume che si ritrova presso alcune popolazioni primitive. Frequente è l’uso di masca, sempre per indicare strega, nel latino medioevale. Secondo alcuni studiosi, la maschera è collegata alla morte. Basti pensare alle “mascherate” che si tenevano in tutta Europa in occasione delle Calende di gennaio, periodo nel quale si riteneva che gli spiriti dei morti tornassero sulla terra.  Secondo il sociologo Alessandro Pizzorno il modello originario della maschera sarebbe stato il teschio umano o il cranio di un animale. Per alcune tradizioni (ad es. quella Dogon) la maschera apparve quando il primo antenato, avendo voluto conoscere la lingua segreta, fu punito dagli dèi con la morte. L’apparizione della maschera risulta, dunque, contemporanea della mortalità umana: la maschera verrebbe, in questo senso, a “ristabilire l’ordine sul disordine provocato dalla morte” In questo modo, chi durante un rituale indossa una maschera, muore come individuo e si distacca dalla sua persona (=maschera) quotidiana per impersonare un essere a-temporale, fissato nella maschera che lo rappresenta: si può quindi affermare che “la maschera comincia là, dove si abolisce la persona” ovvero la maschera che ogni individuo indossa nella sua quotidianità. La persona che si nasconde dietro alla maschera “cerca di innestare la propria azione sul corpo della sua storia quotidiana, interrompe la propria identità personale, sottrae ogni azione che compie alla responsabilità del prima e del poi”. (Sulla Maschera di Alessandro Pizzorno, Il Mulino, 2008). All’interno di una situazione cerimoniale in cui tutti i partecipanti al rito sono mascherati, le maschere servono a sopprimere la coscienza personale per realizzare l’identità di coscienza di tutte le persone presenti.
Saturnalia romani
Proprio per questo suo carattere ambiguo, che la maschera s’inquadra bene della festa del “Carnevale”, la cui celebrazione ha origini in festività ben più antiche, come le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani. Durante queste feste si attuava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie, per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo e alla dissolutezza. Il noto storico delle religioni Mircea Eliade scrive nel saggio Il Mito dell'Eterno Ritorno: «Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della cosmogonia. I combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine dell’anno e nell'attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia». Il carnevale s’inquadra quindi in un ciclico dinamismo di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Il Carnevale riconduce a una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. Posto tra “la morte” dell'inverno e la “rinascita” della primavera, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi. Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, poiché chi le indossa, assume le caratteristiche dell'essere soprannaturale rappresentato.
In definitiva la maschera è uno strumento di alienazione dalle convenzioni spazio-temporali, avente lo scopo di proiettarsi verso “altro” in modo “diverso” da sé. Chi indossa la maschera perde la propria identità, assumendo quella della maschera che rappresenta.
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RITA BEVILACQUA

venerdì 15 febbraio 2019

Significato del CARNEVALE



Carnevale medievale
Il carnevale è una particolare festa del periodo invernale. Non ha una data fissa, ma comincia 24 giorni prima del “mercoledì delle ceneri”, giorno che segna l’inizio della Quaresima. In realtà, a livello popolare si indicava con questa festività tutto il periodo che intercorre tra le festività in onore di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) e il primo giorno di Quaresima, il mercoledì delle ceneri. (Piercarlo Grimaldi, Tempi grassi, tempi magri, Omega edizioni, Torino, 1998).
Secondo il linguista Tullio De Mauro il Carnevale è il  periodo compreso tra l'Epifania e la Quaresima, caratterizzato da scherzi e divertimenti, balli, feste in maschera, ecc…
Come scrive la studiosa palermitana Marcella Croce nel suo saggio “LE STAGIONI DEL SACRO” «Clemente Merlo in un famoso saggio, fa derivare la parola Carnevale da carnes levare (togliere le carni) e sottolinea, non l’idea del godimento che solitamente vi associamo, ma quella della privazione che ne sarebbe seguita. Un tempo in Sicilia la carne era un importantissimo status symbol dato che in pochi se la potevano permettere; il detto “tutto fumo e niente arrosto”, ce la dice lunga in proposito. Un piatto tipico siciliano, la zucca in agrodolce, viene popolarmente chiamato “fegato dei sette cannoli” perchè, cucinato così, poteva dare l’illusione visiva che fosse carne, anche se nella parte “povera” del fegato. Non c’erano i dottori a dirci che fa aumentare il colesterolo, e neanche la mucca pazza che forse ci costringerà a fare quaresima tutto l’anno. Chi aveva le possibilità economiche, però, si comprava il diritto di mangiare carne in quaresima pagando una offerta in denaro alla Chiesa. Uno dei tanti casi in cui la gente prese a considerare normale l’idea che con il denaro tutto si poteva comprare, anche il paradiso».
Saturnalia 
La celebrazione del carnevale ha origini in festività ben più antiche, come le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani. Durante queste feste si attuava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie, per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo e alla dissolutezza. Il noto storico delle religioni Mircea Eliade scrive nel saggio “Il Mito dell'Eterno Ritorno”: «Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della cosmogonia. I combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine dell’anno e nell'attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia». Il carnevale s’inquadra quindi in un ciclico dinamismo di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Il Carnevale riconduce a una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. Posto tra “la morte” dell'inverno e la “rinascita” della primavera,  il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi. Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, poiché chi le indossa, assume le caratteristiche dell'essere soprannaturale rappresentato.
Durante il Carnevale si festeggiava la fecondità della terra, che, dopo il risveglio dal sonno invernale, doveva nutrire gli animali e gli esseri umani. Grande valore avevano i riti di fecondità e il riso. Al riso, infatti, si attribuiva il potere di sconfiggere la morte e il lutto e già tradizioni antichissime lo collegano alla fertilità della natura e degli uomini. 
Nel Medioevo il Carnevale era il tempo delle scorpacciate comunitarie e delle danze infinite. Il  Carnevale garantiva l'allegria pazza e la sospensione temporanea delle leggi, delle regole e della morale. I ruoli sociali si invertivano: gli uomini si vestivano da donne e viceversa, i poveri da ricchi, i ricchi da accattoni o da giullari. Ritornò il Carroccio (carro a quattro ruote, del quale si faceva uso quando si usciva a guerreggiare contro i nemici e che durante il combattimento serviva da punto di riferimento e di raccolta), antico simbolo romano, inteso come espressione della libertà cittadina e popolare. Nel Rinascimento iniziarono a far la loro comparsa dei veri e propri carri carnevaleschi, che esibivano la grandezza dei signori e permettevano al popolo sfrenati baccanali. Si costruivano carri allegorici che rappresentavano scene mitologiche, episodi della Bibbia, allegorie di vizi e di virtù, storie della Grecia e di Roma, segni astrologici, favole e leggende dei santi. Il carro di Carnevale diviene nel Rinascimento strumento di una propaganda politica e culturale che costruiva una visione del mondo ricca e articolata offerta al popolo dall'élite al potere.
A livello folkloristico il Carnevale è festeggiato con diverse manifestazioni, come sfilate di carri allegorici, pantomime o riti propiziatori. I festeggiamenti maggiori avvengono il Giovedì grasso, l’ultima Domenica e il Martedì grasso, ossia gli ultimi giorni prima dell'inizio della Quaresima. Per indicare questi giorni viene usato l'aggettivo “grasso” in riferimento al consumo di cibi gustosi, soprattutto dolci, consumati in questi giorni, prima del digiuno quaresimale. In Italia famosi sono il Carnevale di Venezia, il Carnevale di Viareggio, in Sicilia il Carnevale di Acireale, il Carnevale di Sciacca e altri. Di grande spettacolarità è il Carnevale di Rio.
Riti di Septuagesima
Per la Chiesa cattolica il Tempo di carnevale è detto anche Tempo di settuagesima, che prima del 1969 indicava la terza domenica prima dell'inizio della Quaresima, corrispondente circa a settanta giorni prima della domenica di Pasqua. Esso considerava il carnevale come un momento per riflettere e riconciliarsi con Dio. La storia della Settuagesima è intimamente legata a quella della Quaresima. Infatti, fin dal V secolo cominciava la sesta domenica prima di Pasqua, che corrisponde alla prima domenica dell'attuale Quaresima, e comprendeva i quaranta giorni che precedono il Giovedì Santo, considerato dall'antichità cristiana come il primo Mistero pasquale. Queste domeniche avevano un carattere penitenziale che, con la riforma del Vaticano II, hanno perso, diventando domeniche del Tempo ordinario. A livello liturgico si celebrano le Sante Quarantore (o carnevale sacro) che terminano, con qualche ora di anticipo, la sera dell'ultima domenica di carnevale.
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RITA BEVILACQUA

mercoledì 13 febbraio 2019

13 febbraio 1956 veniva ucciso a Barrafranca il maresciallo SALVATORE TROJA

Barrafranca, Corso Garibaldi -Funerale maresciallo Troja
Pochi ricordano e non tutti conoscono  la storia di una triste vicenda accaduta a Barrafranca (EN) sessantuno anni fa: si tratta dell’uccisione dell’allora maresciallo capo della locale stazione dei Carabinieri TROJA SALVATORE.
Era il 13 febbraio del 1956. Si festeggiavano gli ultimi giorni di carnevale, era il lunedì grasso. Allora era costume tenere “in casa” delle serate danzanti, a cui partecipavano famigliari e amici. Il maresciallo Salvatore Troja, assieme alla figlia Amelia, ritornava proprio da una di queste serate danzanti, svoltasi a casa del prof. Ciulla in via Dante e si avviavano alla loro abitazione, sita in via Romano al civico 14. In quella stretta via, nell’oscurità, si nascondeva un uomo coperto da una scappulara (scapolare) che aspettava il rientro del maresciallo. Appena avvistatolo, gli sparò alcuni colpi di fucile, colpendo non solo il  maresciallo, ma anche la figlia Amalia.
Il corpo del Maresciallo Troja
La giovane donna morì subito, mentre il maresciallo fu portato d’urgenza all’Ospedale di Caltanissetta, dove morirà l’indomani, martedì 14 febbraio.
Al Maresciallo e alla figlia furono tributati onori di Stato. I feretri furono poi trasportati al loro paese d’origine Scordia (CT), dove tuttora sono sepolti.
Per l’uccisione del maresciallo Troja e di sua figlia, furono subito arrestati due contadini barresi Salvatore e Giovanni Lauria. Il maggiore dei fratelli Salvatore fu subito scarcerato, in quanto l’alibi era risultato ineccepibile,  mentre il giovane Giovanni fu incriminato, anche se non confessò mai il delitto. L’arresto dei due fratelli avvenne poiché la famiglia Lauria aveva dei rancori nei confronti del maresciallo ucciso, e lo stesso Giovanni, durante gli interrogatori, aveva finito per ammettere di aver nutrito per tanto tempo dei rancori nei confronti del Troia. Inoltre l’alibi apportato del giovane contadino non reggeva. Tante le contraddizioni che portarono all’arresto: dal fucile sequestrato dagli inquirenti che, secondo la testimonianza di Giovanni, fu utilizzato alcuni giorni prima in una battuta di caccia, senza saperne indicare ora e giorno. Inoltre dalle testimonianze raccolte, alcuni videro il giovane contadino aggirarsi intorno alle 22.00 per le strade del paese, coperto da uno scapolare di panno blu, mentre Giovanni aveva dichiarato che quella sera portava un cappotto e già alle 21.00 era rientrato a casa ed era andato a letto. 
Via Romano, luogo dell'uccisione 
Giovanni fu condannato all'ergastolo, pena commutata in 30 anni di carcere. In paese si raccontava che i fratelli Lauria avessero compiuto quell'insano gesto per vendicare  Francesco,  fratello di questi, ucciso da un certo Amoroso,  venditore di radio e compare in affari di Francesco. Secondo i Lauria (sempre dai racconti dei loro concittadini) il maresciallo aveva coperto il presunto assassino del fratello. In realtà Amoroso era stato arrestato, ma non aveva scontato tutta la pena. Si racconta che il vero autore confessò quell'omicidio in punto di morte, ma non si è mai fatto il suo nome. A causa questa incresciosa vicenda, per anni a Barrafranca il carnevale non venne festeggiato.

Salvatore TROJA di Tommaso e di Giuseppina Sanfilippo, nasce il 13 gennaio 1908 a Ramacca (CT). Il 29 settembre 1929 si sposa a Scordia (CT) con Lucia Scirè, di Rocco, proveniente da Avola. Maresciallo Capo della stazione dei carabinieri di Barrafranca (EN)
Amalia TROJA di Salvatore e Lucia Scirè, nata a Scordia il 6 marzo 1940. Nubile- studentessa.
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

martedì 5 febbraio 2019

Barrafranca del 700: il sopraporta di Palazzo Butera

Barrafranca- Sopraporta di Palazzo Butera

“C’era una volta il Principe di Butera Ercole Michele Branciforti che decise di far realizzare dei  ritratti della città da lui amministrate. Così nacquero i dieci ritratti di città, dei sopraporta del salone d’ingresso al primo piano nobile di Palazzo Butera a Palermo…”.
In occasione della Mostra “Le città del Principe” che si sta tenendo a Palazzo Butera (PA) dal 10 novembre 2018 al 24 marzo 2019, sabato  12 gennaio 2019 alcuni soci del Salotto artistico-letterario “Civico 49” Barrafranca, del “Circolo di Cultura” Barrafranca , dell’UCIIM sez. Barrafranca, il sindaco Fabio Accardi e alcuni barresi sono andati ad ammirare l’esposizione dei sopraporta raffiguranti Mazzarino, Santa Lucia, Pietraperzia, Niscemi, Barrafranca, Grammichele, Butera, Raccuia, Militello e Scordia, le dieci città governate dai Branciforti. Presenti naturalmente gli studiosi barresi che si sono occupati della storia di Barrafranca.
Mostra “Le città del Principe”  Palazzo Butera- Palermo
La mostra è nata grazie al progetto di restauro, ancora in corso, finanziato da Francesca e Massimo Valsecchi, che nel 2016 hanno acquistato il palazzo. Lo scopo è quello poter vedere da vicino i dipinti e confrontare la rappresentazione storica con la realtà odierna di queste città siciliane.
Oltre ad ammirare lo splendore di Palazzo Butera, i visitatori hanno osservato da vicino i “ritratti” della 10 città e il lavoro di restauro che ha riscoperto le cornici in foglia d’argento. I sopraporta sono stati illustrati dallo storico dell’arte Claudio Gulli. Naturalmente l’attenzione si è concentrata sul sopraporta di Barrafranca per trarne informazioni utili che possano aiutare a far luce sulla storia della città nel ‘700. A differenza degli altri dipinti, quello di Barrafranca non riporta nessuna data. Anche la stessa cornice è diversa dalle altre tele. Questo già fa capire che il dipinto ha subito delle manomissioni, rendendo così più complicato la reale interpretazione.  
Sopraporta Barrafranca- Particolare del piano Batia
Particolare attenzione è stata rivolta alla raffigurazione di piano Batia, l’attuale Piazza Fratelli Messina.
Analizzando i particolari di Piano Batia si scorge al centro della piazza la vecchia Chiesa Madre, chiamata “U Cappidduni” (distrutta definitivamente nel 1932). Quasi di fronte si erge una costruzione priva di tetto, accanto ad una chiesa e al convento dei benedettini. Tra la suddetta costruzione e la chiesa è presente la seguente dicitura: “Chiesa Matrice incominz...”. Che cosa vuol dire quella scritta? A quale costruzione si riferisce? A queste domande gli storici barresi hanno formulato diverse ipotesi. La scritta sembra dire “Chiesa Madre incominciata ossia in fase di costruzione”. Com’è possibile che nel 1784 (data secondo cui risalirebbe il dipinto) a piano Batia ci fosse una seconda chiesa Madre quando la storia ci tramanda che la nuova chiesa madre fu costruita sui ruderi della chiesa di San Sebastiano (iniziata nel 1728) anch'essa presente nel sopraporta. Che allora ci fossero tre chiese Madri? 
Sopraporta Barrafranca- Particolare del piano Batia
Sempre la storia c’insegna che la Chiesa accanto al monastero, a piazza Batia, era nominata Chiesa San Benedetto (fondata nel 1745) mentre nel dipinto non viene neanche citata. A quale ambiente invece si riferisce quella costruzione a base rettangolare che nel dipinto è posta accanto alla Chiesa di San Benedetto e alla vecchia Chiesa Madre? Secondo alcuni la posizione in cui è posta richiama ciò che Vito Amico nel 1757 scrisse nel suo “Lexicon topographicum siculum” e cioè che i resti della torre di Convicino si trovassero accanto alla vecchia chiesa madre.  Che quell’edificio fossero i resti dell’antica “Torre Conviciniana”? Dobbiamo ricordare che nel 1693 il piano Batia fu colpito dal terribile terremoto della Val di Noto, causando danni alla vecchia chiesa Madre, alla chiesa di Maria SS della Stella e ad altri edifici. Quest’evento modificò in parte l’aspetto urbanistico di piano Batia. Sempre in riferimento alla posizione in cui è dipinta, potrebbe anche trattarsi del Palazzo del Governatore (attuale palazzo Triolo- D’Alessandro) sito nella via Canale adiacente a Piazza Batia.
Tante ipotesi, tante domande che necessitano ancora di studi e ricerche. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA