Una delle tante pratiche cristiane, antropologicamente interessanti, per capire la religiosità popolare è il cosiddetto " Viaggiu ai Santi", ossia il pellegrinaggio compiuto a piedi fino al luogo sacro dove poter incontrare il Santo protettore.
Il pellegrinaggio,
come viaggio devozionale e penitenziale, è uno dei riti religiosi più comuni,
assieme alla donazione del pane, che caratterizzano la religiosità popolare. Nella
rivista "Il pellegrinaggio. Rivista internazionale di Teologia e Cultura
COMMUNIO" leggiamo: «Il pellegrinaggio è un viaggio verso un centro nel
quale si realizzerà l’incontro atteso e preparato dall'homo religiosus. Questo
centro costituisce in maniera simbolica lo spazio della salvezza». Il mettersi
in cammino è connaturato all'essere umano, anche il "viaggio a piedi verso
un luogo sacro" chiamato pellegrinaggio, è una pratica che ritroviamo in
tutte le religioni, antiche e moderne. Il pellegrinaggio rende sacro il tempo e
lo spazio in cui si svolge. I pellegrini stessi sono sacri perché più vicini a
Dio, attraverso la fatica, e più lontani dall'oikos familiare che li protegge
nella vita di tutti i giorni, qui interrotta e momentaneamente
abbandonata. Nella quotidianità, il tempo trascorre come ritmo continuo
nella successione dei giorni e delle notti, delle settimane, degli anni. In questo
tempo, ci sono degli stacchi derivanti dalla celebrazione di un rituale
festivo. Questo, a sua volta, richiede particolari usi: l’andare a piedi anche
scalzi, procedere in ginocchio fino agli altari o addirittura, percorrere gli
ultimi metri che ci separano dal Santo strisciando per terra la lingua.
La motivazione di questo "andare" è quella
dell’attesa di un incontro con chi, superando le normali categorie della
materialità, possa cambiare la situazione attuale e al quale si chiede la
soluzione di un problema che, un essere materiale, non può risolvere. Da ciò
nasce la ricerca di un essere invisibile, spirituale che possa modificare le
attuali connotazioni materiali. E chi meglio dei Santi, considerati gli
intercessori presso Cristo, possono assolvere tale compito. Così, di fronte a
una situazione di cui non si è in grado di affrontare o risolvere, s’intraprende,
per nove giorni, il "viaggio" che, allontanando dal proprio spazio e
tempo materiali, avvicina e immette in categorie spazio temporali in cui il
"pellegrino" si sente più vicino alla spiritualità e gli permette di
chiedere al Santo, in questo caso al "suo Santo patrono", la grazia
di guarigione dei mali corporali.
Di là dai pellegrinaggi definiti maggiori (Gerusalemme,
Santiago di Compostela, Roma, Canterbury, San Michele Arcangelo in Puglia, …),
vi è una miriade di pellegrinaggi definiti a "corto raggio" ossia a
luoghi e siti vicini alla zona del pellegrino. Stiamo parlando di quello che
nella cultura agro- pastorale siciliana è conosciuto come "U viaggiu ai
Santi". In occasione di qualche grave pericolo, o per chiedere la
guarigione da una malattia o una grazia, i fedeli chiedono l’aiuto del Santo cui
sono legati e, usciti dal pericolo, si compie la promessa recandosi presso un
santuario dedicato a quel santo. Si ripaga, in questo modo, il protettore col
sacrificio del viaggio e con la testimonianza personale della grazia ricevuta. C’è
chi, poi, compie un "viaggio di richiesta", ossia per chiedere una
grazia, una benedizione, in attesa che il Santo la esaudisca. Giunti alla meta,
dopo una preghiera e la consegna degli ex voto, il pellegrino ritorna a casa,
portando con sé candele, immagini sacre o altro. Questi cimeli però devono
essere benedetti mediante lo strofinamento sul simulacro, attribuendo così a
quell’oggetto benedetto un carattere taumaturgico, di protezione ai mali della
vita.
FONTI: Gabriele Tardio Le credenziali, le insegne pellegrinali e i "ricordi" del pellegrinaggio garganico, Edizioni SMiL, Testi di storia e tradizioni popolari; AA.VV. Il pellegrinaggio. Rivista internazionale di Teologia e Cultura COMMUNIO, numero 153, maggio-giugno 1997, Jaca Book; Fonti orali. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)
RITA BEVILACQUA