giovedì 18 giugno 2020

La devozione popolare dei giorni della settimana ai Santi


Secondo la pietà popolare, ogni giorno della settimana ha una sua particolare devozione: chi a Maria, chi a Cristo o ai Santi. Nei diversi giorni si svolgono pie pratiche riconosciute e approvate anche dalla Chiesa. Riporto lo schema tramandatomi dalla mia mamma (spesso cambia da paese e paese):
"Luni all’Armi purganti
Marti a Sant’Antoniu
Mircuri a San Giseppi
Jiuvi a Santa Rita
Venniri allu Crucifissu
Sabatu alla Madonna
Duminica allu Signuri."
Anime del Purgatorio (foto dal web)
La preghiera giornaliera alle Anime del Purgatorio che, nella devozione popolare, alcuni praticano il LUNEDÌ deriva da una pratica cristiana chiamata "Atto eroico di carità per le anime purganti", o "Vantaggio delle Anime del Purgatorio"che consiste in una spontanea offerta del fedele di tutte le sue opere soddisfat­torie (riparazione di offesa, danno o similari...) in vita, e di tutti i suffragi che può egli avere dopo morte, a vantaggio delle sante Ani­me del Purgatorio. Questo pio esercizio a pro dei defunti fu istituito dal Ven. P. Domenico di Gesù Maria, Carmelitano Scalzo, fondatore dell'Istituto del Consorzio dei Fratelli. L’atto fu approvato dal Pon­tefice Gregorio XV con la "Bolla Pa­storis Aeterni".

Fercolo di Sant'Antonio- Barrafranca
La devozione del MARTEDÌ a Sant'Antonio da Padova richiama la pratica cristiana conosciuta come "I 13 martedì di Sant'Antonio". Perché proprio il martedì? Perché, storicamente, i funerali del Santo furono celebrati il martedì successivo ala sua morte. Questa pratica consiste nella preparazione alla Festa del Santo dal tredicesimo martedì che precede la festa.

Fercolo di San Giuseppe- Barrafranca
La devozione  del MERCOLEDÌ a San Giuseppe inizia nella prima metà del secolo XVII, quando si fece strada in diversi paesi  una  corrente di pensiero che proponeva il mercoledì come giorno di devozione al Santo Patriarca. Secondo il teologo padre Gauthier "nessuno ne ha mai dato una spiegazione chiara e precisa". Egli ne documenta la presenza, concludendo che "questa tendenza verso il mercoledì è continuata dopo il 1650, e si può perfino sostenere che è diventata la più corrente". Fino al XVII sec molti predicatori cattolici sostenevano l’importanza di mantenere come giorno dedicato a San Giuseppe il Sabato, allora dedicato a Maria, proprio per non separare la Santa Famiglia. Benedetto XIV concedeva, nel 1745, ai Carmelitani scalzi della provincia di Catalogna di celebrare una messa votiva solenne di san Giuseppe tutti i mercoledì dell'anno; nel 1772, Clemente XIV autorizzava i medesimi a celebrare una seconda messa votiva solenne ogni mercoledì, secondo le esigenze dei fedeli. Indulgenze furono concesse all'Ordine dei carmelitani da Clemente XIII (nel 1762 e anni successivi) per una novena di mercoledì in preparazione alla festa di san Giuseppe. Pio VII, nel 1819, concedeva un'indulgenza per tutti i mercoledì dell'anno a chi recitava in quel giorno i dolori e le allegrezze di san Giuseppe. Con un indulto generale del 5 luglio 1883, Leone XIII attribuiva a ogni giorno della settimana un tema particolare, ratificando il mercoledì come il giorno di san Giuseppe in tutta la Chiesa, con Messa votiva corrispondente; la stessa condotta fu mantenuta dalla Congregazione dei Riti con un decreto del 3 giugno 1892. Con il "Motu Proprio" del 25 luglio 1920, in occasione del 50° anniversario della proclamazione di san Giuseppe come patrono della Chiesa universale, Benedetto XV richiamava "l'importanza di tutti i mercoledì e dei giorni del mese che gli è consacrato". Il nuovo Messale romano, pubblicato per la prima volta in latino nel 1970, contiene parecchie Messe votive, compresa quella in onore di san Giuseppe. Anche se nessuna di esse è messa in relazione con un giorno determinato della settimana, si deve riconoscere che, dopo più di due secoli, per un buon numero di cattolici il mercoledì rimane il giorno consacrato a san Giuseppe.
Fercolo Santa Rita- Barrafranca 
La devozione del GIOVEDÌ va a Santa Rita perché, secondo la tradizione, la Santa morì proprio di giovedì. Questa dedicazione richiama la pratica cristiana conosciuta come "I 15 giovedì di Santa Rita". Questa pratica consiste nel celebrare i 15 giovedì che precedono la festa della Santa con particolari pratiche. Sono stati istituiti allo scopo di commemorare i 15 anni che Santa Rita portò le stigmate.

Fercolo SS Crocifisso- Barrafranca
La devozione del VENERDÌ al Crocifisso è una conseguenza  della devozione del Venerdì Santo, giorno in cui Cristo morì in Croce.

La devozione del SABATO a Maria assume diverse valenze. La devozione alla Madonna ha ricevuto un forte impulso agli inizi del X secolo con la riforma monastica che ha dato forma alla civiltà medievale. Dopo quell'epoca divenne usanza generale di dedicare il Sabato alla Madonna. San Ugo, abate di Cluny, ordinò che nelle abbazie e monasteri del suo Ordine dell'Ufficio dovrebbe essere cantata e una Messa celebrata in onore di Maria Santissima il sabato.  A cominciare dal celebre predicatore J. Eck (1486-1543), che assegnava il sabato alla glorificazione congiunta "della vergine Madre, Anna e Giuseppe", nella prima metà del secolo XVII. Una possibile spiegazione potrebbe venire dal Vangelo. Non tutti credevano nella Resurrezione di Gesù. 
Fercolo Madonna- Barrafranca 
Solo Maria, in quel giorno di attesa tra la crocifissione e la resurrezione, non smise mai di credere che il Figlio sarebbe Resuscitato. In quel Sabato, dunque, su tutta la terra, solo lei personificato la Chiesa cattolica. Come il sabato precede e porta alla domenica, giorno del Signore, così la memoria di Maria di sabato precede e accompagna la celebrazione della Pasqua settimanale di Cristo. Il sabato è il giorno del sepolcro, il giorno del silenzio, il giorno in cui la Chiesa non celebra riti, perché il Cristo riposa nel grembo della terra. Il sabato è anche preparazione e introduzione alla domenica, simbolo e segno della festa del cielo, e la santissima Vergine è la preparazione e la via verso Cristo, porta dell’eterna felicità. Il culto del «sabato a Maria» ha avuto devoti di grande santità, come santa Caterina da Siena, san Francesco di Sales, sant'Alfonso de' Liguori, e altri.
Fercolo Cristo Risorto- Barrafranca
La DOMENICA è il "giorno del Signore". Per antonomasia è il giorno della Resurrezione di Cristo (Marco 16,2; Luca 24,1; Giovanni 20,1).

Fonti: "FILOTEA PER I DEFUNTI Sancta et salubris est cogi­tatio pro Defunctis exorare, ut a peccatis solvantur" (Lib. 2. Machab., XII, 46) 3ª edizione, Milano Tipografia della Santa Lega Eucaristica 1902; "Il mercoledì, il giorno di San Giuseppe" opuscolo, in francese, di padre Roland Gauthier (Montréal 1999); www.roccaporena.com; www.apostatisidiventa.blogspot.com; fonti orali. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

martedì 2 giugno 2020

Culto di Maria SS Odigitria nella tradizione siciliana


Particolare tela Maria SS Odigitria- Barrafranca (EN)
Il Messale proprio delle Chiese di Sicilia (il Messale, voluto dal Card. Salvatore Pappalardo, fu approvato dalla Santa Sede nel 1980 come Messale e Lezionario e nel 2004 come Liturgia delle Ore) assegna al martedì dopo la Pentecoste la festività liturgica di Maria SS Odigitria (dal greco antico ὸδηγήτρια, colei che istruisce, che mostra la direzione) patrona delle Chiese di Sicilia. Si ricorda Madonna d'Odigitria che spinse gli Apostoli, dopo la Pentecoste, ad andar per il mondo a portare la parola di Dio, simboleggiando quindi il cammino. Il nome di Odigitria fu dato dai fedeli di Costantinopoli ad una antichissima immagine della Vergine. Secondo l'agiografia questa reliquia sarebbe stata una delle tre icone mariane dipinte dall'evangelista Luca che Elia Eudocia (Aelia Eudocia, circa 401-460), moglie dell'imperatore Teodosio II, avrebbe ritrovato in Terra Santa e traslata a Costantinopoli.  Successivamente venne donata all'imperatrice Elia Pulcheria (399-435) perché fosse venerata in quella città. Pulcheria le eresse una Chiesa-santuario con annesso monastero nell'acropoli della città, nei pressi del palazzo imperiale: essa, col tempo, fu comunemente chiamata "degli odeghi" cioè delle guide, dall'appellativo dato ai monaci custodi del santuario che facevano da guide ai frequentatori del santuario, in maggioranza ciechi, venuti a chiedere la guarigione alla Madonna, o "dei condottieri", perché vi si recavano a invocare la protezione della Vergine i condottieri dell’esercito imperiale, prima di marciare contro i Turchi. 
Da ciò derivò alla Vergine raffigurata in quell'immagine l’appellativo di Odigitria. Secondo alcuni studiosi l’appellativo "odigitria" potrebbe far riferimento anche ad un antico prodigio attribuito alla Madonna di Costantinopoli che guidò due ciechi fino alla sua chiesa e fece loro recuperare la vista. Questa celebre immagine fu considerata la protettrice, la "conduttrice, guida della via "della città e di tutto l’impero d’Oriente.
Tela Maria SS Odigitria- Barrafranca (EN)
La testimonianza del ruolo di protettrice della Sicilia la troviamo a Roma in via del Tritone 82, sede dell’Arciconfraternita di S. Maria Odigitria dei Siciliani, presso l’omonima chiesa eretta dai confrati nel 1595.  Con Bolla di Sua Santità Paolo VI, del 12 gennaio 1973, fu elevata a "diaconia cardinalizia" e assegnata al Cardinale Salvatore Pappalardo; con Bolla di Sua Santità Benedetto XVI, del 20 novembre 2010, fu elevata al "titolo presbiterale cardinalizio" e assegnata al Cardinale Paolo Romeo. Nell'isola il suo culto è diffusissimo sin da tempi remoti, lascito del rito bizantino. La raffigurazione più diffusa nell'isola appare quella della Madonna col Bambino in braccio che poggia su una cassa tenuta a spalla da due basiliani. Essa riepiloga i momenti più salienti del "viaggio" dell'Odigitria bizantina che, secondo la tradizione leggendaria, al tempo dell'iconoclastia, chiusa da alcuni monaci basiliani dentro una cassa di legno e affidata al mare, finì per approdare sulle coste meridionali dell'Italia.. La devozione alla Vergine Odigitria fu portata in Sicilia nel sec. VIII da soldati siciliani dell'esercito imperiale che avevano partecipato ad una grande battaglia contro i Turchi, assedianti Costantinopoli con una flotta di 800 navi. La battaglia era stata vinta e la flotta distrutta in seguito ad una furiosa tempesta, sorta non appena i monaci del "Monastero degli odeghi" avevano condotto in processione sulle mura della città e posto di fronte al nemico la venerata icona della Vergine Odigitria recata a spalla. Per questo le immagini della Madonna di Costantinopoli o Madonna Odigitria (col titolo abbreviato in Itria o Idria), diffuse largamente in Sicilia, rappresentano una icona della Vergine recata a spalla da due monaci di rito bizantino, detti comunemente "vecchioni".
PS L’immagine sopra ritrae la tela della Madonna dell’Itria che si trova nell'omonima chiesa di Barrafranca (EN).

FONTI: Abbate Michele Giustiniani, "Dell'origine della Madonna di Costantinopoli, o sia d'Itria. E delle di lei traslazioni", Roma, 1656; siti web www.carthopedia.org; www.cattoliciromani.com (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA 

lunedì 1 giugno 2020

L’epidemia di "meningite cerebro-spinale" che colpì Barrafranca nel 1929


Il lazzaretto costruito in contrada Madunnuzza (quartiere Grazia)

Nel maggio del 1929 una gravissima epidemia si diffuse a Barrafranca (EN), la "meningite cerebro spinale".
La meningite cerebro-spinale, o meningite da meningococco, è un’infezione che colpisce le membrane (meningi) che rivestono e proteggono il cervello e il midollo spinale. Per questo è chiamata cerebro-spinale. Si manifesta frequentemente in modo epidemico all'interno di piccoli gruppi di bambini o adolescenti. I portatori sani del germe (ossia i soggetti in cui il batterio, presente nella mucosa della faringe, non determina malattia) possono disseminarlo per via aerea.
A Barrafranca l’epidemia infierì per alcuni mesi, soprattutto tra la popolazione più giovane (bambini e adolescenti), causando vittime e lesioni irreversibili, anche perché molti di quelli che guarivano restarono tragicamente segnati. Nonostante fossero nati sani, dopo il contagio alcuni bambini rimasero muti, oppure ritardati. Dai ricordi dei figli di chi ha riportato lesioni, si parla di circa 50 bambini. Secondo quanto scrive Salvatore Ciulla nel suo libro "Barrafranca negli anni Trenta", il dopo fu difficile anzi peggio, poiché si contavano in più centinaia di famiglie in profondo dolore per la morte di coniugi o impegnate nella disperata lotta di riportare alla vita attiva i propri cari sopravvissuti al male, ma tragicamente segnati e rimasti invalidi.
Era il 1929 ed eravamo in pieno fascismo. Ha governare in paese vi era il podestà, (una nuova autorità municipale dopo che erano state abolite le cariche di sindaco, assessore e consigliere comunale) nella figura del dott. Giuseppe Mattina (1880-1954) che si prodigò in tutti i modi per arginare un morbo impietoso che stata dilaniando il paese.
Personale del lazzaretto
All'inizio l'epidemia fu sottovalutata, convinti che fosse un male passeggero, tanto che le autorità locali non furono solerti nel de­nunciare il malanno che già stava attaccato tutti i quartieri. Accertata la gravità dell’epidemia, intervenne la M.V.S.N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) locale, comandata dal barrese prof. Antonio Tumminelli (1885- 1952) uno dei maggiori esponenti della politica barrese. Assieme all’Esercito, ai RR.CC. (Real Carabinieri) e alle Infermiere della Croce Rossa siciliana, il cui reparto femminile era diretto dalla contessa Monroj di Palermo, allestirono un ospedale da campo, il lazzaretto, in contrada Madunnuzza (quartiere Grazia), detta in seguito a ciò "U chianu 'i tenni". Le attrezzature erano state fornite dall’Esercito e dalla Croce Rossa. Coordinatore del servizio sanitario era l’ispettore medico comm. Crisafulli, inviato appositamente da Roma, «per cercare di arginare un male che falciava vittime a decine al giorno, e quando qualcuno miracolosamente si salvava, restava profondamente segnato nel fisico per sempre» (Salvatore Ciulla "Barrafranca negli anni Trenta"), mentre la parte amministrativa e di vettovagliamento era competenza del Comune. La situazione sanitaria era grave, tenuto conto della povertà in cui versava il paese. Tra le classi più povere l’igiene era scarsa, e questo aggravò la situazione. Si fece spalare il fango delle strade, e le pozzanghere infette erano trattate con calce bianca, per le sue proprietà altamente disinfettante, date dalla sua elevata alcalinità, come anche le povere case dei colpiti, le stalle e le masserizie.  Al fine di evitare maggiore contagio, furono chiuse le poche scuole che erano in paese e, per non creare allarmismi, si proibì di suonare dal campanile delle chiese 'a 'ngunìa e 'u marturiu che normalmente accompagnavano il trapasso di una persona, così come fu vietato anche 'u viaticu, cioè la somministrazione dei Sacramenti ai moribondi. Nessuno poteva superare la cinta sanitaria, se non munito di apposito lasciapassare.
Membri della M.V.S.N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale)
I medici e il personale sanitario dell’Esercito e della Croce Rossa fecero quello che umanamente era possibile. In questa dolorosa situazione, non mancò l’opera del dott. Angelo Ippolito (1871- 1966) che si era già distinto durante il Morbo della spagnola che colpì Barrafranca nel 1919. Fu sempre pronto a correre al capezzale di ammalati e moribondi. Altrettanto eroico furono i gesti di don Luigi Giunta (1881- 1966), parroco della chiesa Madre e cappellano del laz­zaretto pronto sempre a portare in tutte le ore agli ammalati il conforto della fede e del Sacramento e di don Calogero Marotta (1865-1943) cappellano della chiesa Grazia. Secondo quanto scrive Salvatore Ciulla
«… cercare di arginare un male che falciava vittime a decine al giorno, e quando qualcuno miracolosamente si salvava, restava profondamente segnato nel fisico per sempre.
Riportiamo i nomi degli appartenenti alla M.V.S.N. (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale) così come sono stati elencati dal prof. Cateno Marotta: Salvatore Marotta; Alfonso Geraci; Benedetto Gagliano; Antonio Verdura; Angelo Marotta; Marco Scarpulla; Luigi Monteforte; Giuseppe Mastrobuono, capo manipolo; Ignazio Gagliano; Luigi Virone; Salvatore Corso; Francesco Bizzetti; Antonio Costa; Arcangelo Scarpulla; Antonio Bevilacqua; Carmelo Accardi; Giuseppe Ingala; Giovanni Veloce; Filippo Calì.

FONTI: Salvatore Licata, Carmelo Orofino "Barrafranca, la storia, le tradizioni, la cultura popolare", 3ª edizione, 2010; Salvatore Ciulla "Barrafranca negli anni Trenta", parte prima, 1987; fonti orali di alcuni anziani barresi; fonti fotografiche: Salvatore Marotta e Santina Zafarana. (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA