lunedì 24 dicembre 2018

Ccu stu friddu e sta jlata… bellissimo canto natalizio suonato durante le novene.

Per tradizione, Natale è sinonimo di NOVENA, non solo come pratica liturgica che si svolge nelle chiese, anche come tradizione di allestire degli altarini,“i nuveri”, anticamente nelle case private e in seguito attorno alle “figuredde ” (edicolette votive) delle strade dei paesi. Si attende la nascita di Gesù Bambino recitando rosari, preghiere e intonando canzoni, rigorosamente in dialetto siciliano, tutti aventi come argomento le vicende di Maria e Giuseppe, il loro peregrinare alla ricerca di una capanna e la nascita di Gesù Bambino. Le novene “casalinghe” erano cantate da gruppi di comari che la sera si riunivano per intonare lunghe filastrocche, qualche volta associate al suono della “ceramella” (piffero). Poi s’iniziò ad abbellire, con alloro e arance, le “edicolette votive” poste sui muri esterni delle case, per poi arrivare alle moderne novene, realizzate con veri e propri altarini, più o meno elaborati. Oggi come allora, si continuano a cantare le vecchie nenie di una volta, accompagnati da gruppi di suonatori, zampognari o appartenenti a qualche banda musicale, che rendono più emozionante l’ascolto delle melodie natalizie.
Tra i testi dialettali suonati e cantati per durante questo periodo, vi proponiamo il testo della canzone conosciuta come “Ccu stu friddu e sta jlata…“. Formato da quattro strofe intercalate da due diversi tipi di ritornelli, il testo narra il pellegrinare di Maria e Giuseppe alla ricerca di un alloggio, per ripararsi dal freddo e poter riposare. E proprio in quell’umile alloggio trovato che si compie il miracolo della nascita del Salvatore: “Ni na povira mangiatura parturiu a gran Signura menzu u voi e u sciccariddu nasci poviru u Bamminiddu!”
Ne riportiamo il testo completo:

Ccu stu friddu e sta jlata…

Rit. Ccu stu friddu e sta jlata
cu ti ci porta menzu  a strata.
-E Maria cu San Giuseppi
e lu nostru redenturi
caminaru jornu e notti
ccu lu lu friddu di la stagiuni.
Rit. Ccu stu friddu e sta jlata
cu ti ci porta menzu a strata.
-Ni na povira mangiatura
parturiu a gran Signura
menzu u voi e u sciccariddu
nasci poviru u Bamminiddu.
Rit. Ccu stu friddu e sta jlata
cu ti ci porta mensu a strata.
-Quannu ddà furu  arrivati
Maria stanca si ripusà
idda vitti ccu grandi amuri
ava nasciutu  u Redenturi.
…Gloria, gloria in ecelsiu Deo
Paci in terra a nui ci dà…
…Gloria, gloria in eccelsiu Deo
Paci in terra a nui ci dà
-E ccugiubilu e alligria
cantammu tutti in armunia
ccu Giuseppi in cumpagnia
viva Gesù cu Maria.
…Gloria, gloria in ecelsiu Deo
Paci in terra a nui ci dà… (2 volte)
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

mercoledì 12 dicembre 2018

Il culto di santa Lucia a Barrafranca

Statua lignea di Santa Lucia
Molto sentito in Sicilia e non solo è il culto della vergine e martire Lucia (283.-304). Come ricorda il Messale Romano è una delle sette donne menzionate nel Canone Romano e il suo culto è già testimoniato dal V sec. d. C. Il martirio avvenne il 13 dicembre 304, sotto il dominio di Diocleziano. Antecedente all'introduzione del calendario gregoriano (1582), la festa cadeva in prossimità del solstizio invernale (da cui il detto “santa Lucia il giorno più corto che ci sia), ma non coincise più con l’adozione del nuovo calendario.
La celebrazione della festa in un giorno vicino al solstizio d'inverno, è probabilmente dovuta alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebravano la luce e si festeggiano nello stesso. Basti pensare ai falò che si preparano la vigilia della festa.
Anche a Barrafranca si festeggia santa Lucia.
Come tutte le nostre feste è difficile datarne l’origine.
Fino agli anni ’60 la vigilia della festa cioè il 12 sera, dopo la messa vespertina, usciva in processione dalla chiesa Maria SS. della Stella un quadro raffigurante santa Lucia assieme alla reliquia “du capiddu”. Mentre la processione è scomparsa, il quadro è ancora presente nella suddetta chiesa e dalla guida del Vicari si apprende che fu realizzato da Emanuele Catanese, un pittore che operava in Sicilia attorno alla metà dell’800, soprattutto a San Cataldo; mentre lo storico Giunta lo fa risalire al Vaccaro.
Burgio
Sempre giorno 12 sera venivano e vengono bruciati i “burgia”, ossia i falò. "Burgio" deriva dal termine dialettale 'mburgiare ossia l'atto che, una volta,  facevano i contadini di ammassare la paglia, da conservare per l'inverno. Secondo gli anziani il burgiu rappresenta la Santa che bruciò tra le fiamme. Infatti un'antica tradizione vuole che Lucia si trovasse tra le fiamme ardenti e poi, per miracolo, sia rimasta illesa.
Simboli di purificazione, i falò hanno assunto un ruolo preminente nelle feste religiose, retaggio di un antico pensiero pagano che vedevano nella loro luce e nel loro calore, il mezzo per schiacciare i demoni, infestanti la realtà umana.
Torniamo a Barrafranca. Prima dell’arrivo del metano, i falò si preparavano dentro il paese. A prepararli erano i bimbi  e i giovani dei vari quartieri che andavano a raccogliere, alcuni giorni prima, rami, stoppie che serviva per la copertura di una base fatta di canne legate in cima e disposte a forma di cono.
Anticamente i "burgia" venivano costruiti coprendo con un manto di paglia una struttura di canne legate in cima e disposte a forma di cono. Al suo interno venivano posti dei cespugli di asparago (sparacogni) che bruciavano, scoppiettando.
Attualmente la catasta di legna, a forma conica, viene realizzata ammassando legname, prevalentemente d'ulivo, attorno ad una trave, sulla cui cima veniva posizionato un pupazzo, a simboleggiare la Santa. Sono ormai pochi i falò rimasti, realizzati fuori il perimetro urbano.
Scodella di cuccìa 
Altra tradizione, non solo barrese ma di tutta la Sicilia, è il consumo della "cuccìa", termine che, secondo alcuni, deriva da "cuccìu di granu".
Secondo la tradizione l'anno 1646 fu particolarmente calamitoso per la Sicilia a causa di una grave carestia, aggravatasi per la minore disponibilità di carne in seguito ad una moria che distrusse quasi tutti gli allevamenti bovini. Siracusa era allo stremo. Allora il vescovo monsignor Francesco Elia de' Rossi chiamò il popolo alla preghiera, facendo esporre, sull'altare maggiore della cattedrale, l'argenteo simulacro di santa Lucia e indusse 8 giorni di suppliche. La mattina del 13 maggio 1646, mentre la cattedrale era gremita per la messa solenne, fu vista aleggiare una colomba tre o quattro volte finché si posò sul capo del vescovo. Quasi all'istante si sparse la voce che una nave carica di grano e legumi era approdata nel porto di Siracusa. La folla si commosse, gridò al miracolo e ringraziò santa Lucia. Per poterlo consumare immediatamente, il grano non fu macinato ma bollito e mangiato. Da allora si associa il consumo del grano bollito ala festa di santa Lucia. Si tratta di un piatto povero realizzato con del grano bollito. Un giorno prima si mette a mollo il grano, per farlo ammorbidire. 
Il pomeriggio del 12 si pulisce, anzi si "scanala", in quanto il grano rigonfio di acqua viene sfregato "nu canali" (antica tegola di terracotta girata dalla parte più ruvida), per eliminare le spoglie, ossia "la pula" e lasciare così solo il cuore del chicco di grano. Poi in grandi "cadaruni" (grosse pendole) veniva bollito a lungo e consumato solo con un filo di olio. C'è chi usa condirlo con legumi.
Per mantenere viva questa tradizione, nel 2002 l’AVIS sezione di Barrafranca ha pensato di organizzare, per la serata del 12, la preparazione della "Cuccìa in piazza". Agli inizi lo stand veniva montato in Piazza Regina Margherita, dal 2011 viene montato in Piazza Fratelli Messina, proprio vicino alla chiesa Maria SS. della Stella, dove si festeggia la Santa. I volontari AVIS preparano la cuccìa direttamente in piazza, in grandi "cadaruna", mentre un enorme stand, allestito con tavoli e panche, accoglie al caldo le persone che voglio degustarla. Inoltre vengono preparati legumi cotti per chi volesse accompagnare la cuccìa. Il tutto viene realizzato a spese dell’AVIS. 
Accanto alle antiche tradizioni, se ne innestano delle nuove. Dal 2010 la sera del 12 dicembre il gruppo parrocchiale della chiesa Maria SS. della Stella allestisce, davanti al sagrato della chiesa o in Piazza Fratelli Messina, una sacra rappresentazione della vita di santa Lucia. Lo scopo è quello di far conoscere la vita della Santa siciliana, mettendo in scena un recital i cui protagonisti sono donne e uomini comuni, legati dal senso cristiano della fratellanza. I testi sono tratti dall'agiografica della Santa, le scenografie, gli abiti e tutta l’organizzazione è curata dal gruppo famiglie della parrocchia che, con amore, prestano gratuitamente la loro opera.

Candele devozionali

Il 13 dicembre, giorno in cui si festeggia la Vergine Lucia, i fedeli si recano nella chiesa Maria SS della Stella, dove è esposto il Simulacro ligneo della Santa,  per seguire le funzioni religiose, per pregare e per accendere un cero, come ex-voto per grazia ricevuta. Si invoca la Santa per problemi di vista: difatti nel cero viene legato un'immagine degli occhi, proprio per ricordare il potere taumaturgico di guarire i problemi della vista. Non ha caso il nome LUCIA deriva dal latino "lux-lucis", che significa luce, splendore. C'è chi, per grazia ricevuta, non si limita all'accensione della cero devozionale, ma realizza il "vestito di Santa Lucia" da far indossare alla persona che ha ricevuto la grazia. 
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

venerdì 7 dicembre 2018

L’antico culto barrese all’ Immacolata Concezione

Chiesa S, Francesco- Simulacro Immacolata già restaurato
 L’ 8 dicembre di ogni anno la Chiesa festeggia l’Immacolata Concezione, il cui dogma fu proclamato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854 con la bolla “Ineffabilis Deus”, che sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento.
A Barrafranca (EN) il culto dell’Immacolata Concezione è molto antico, basti ricordare che l’ex chiesa del Purgatorio, demolita nel 1957, prima di essere dedicate alle “anime del Purgatorio” era appellata della Concezione, proprio perché era presente una statua dell’Immacolata.  Lo storico barrese don Luigi  Giunta nel suo “Brevi cenni storici su Barrafranca” riporta una disputa che ci aiuta a chiarirne il culto. Nel capitolo riguardante la chiesa del Purgatorio si legge: “Tra questa chiesa (allora officiata dai Conventuali di san Francesco) e quella dei Minori Riformati sorse questione su quale delle due dovesse celebrare la festa dell’Immacolata nel giorno 8 dicembre. La questione portata al Governo fu decisa in favore della chiesa del Purgatorio con ministeriale dell’11 aprile 1836”.  In un capitolo più avanti, lo storico riporta la ministeriale in questione, dove si legge che la chiesa del Purgatorio poteva festeggiare e processionare il giorno stesso della festa della Concezione, mentre i PP. Riformati facessero lo stesso all’ottava della festa della Concezione. Questo ci fa dedurre che già agli inizi dell’800 il culto era presente a Barrafranca, grazie ai frati Conventuali che officiavano nella chiesa del Purgatorio. Era presente anche una Confraternita che si sciolse, come tante altre, dopo la scomunica di Papa Pio XII ai comunisti nel 1949 e le relative modifiche al Canone del Concilio Vaticano II.  Nell’ex chiesa del Purgatorio era presente un antico simulacro ligneo dell’Immacolata Concezione, di mirabile fattura, che dopo la demolizione della suddetta chiesa, passo nella chiesa Maria SS. della Stella. Anni dopo l’antico Simulacro fu portato da don Pino Giuliana a Riesi (CL) nella chiesa di S. Salvatore.
Chiesa di S. Francesco- altare dell'Immacolata Concezione

Nella chiesa di san Francesco, è presente un Simulacro ligneo della Vergine dei primi dell’ottocento. Nella prima stesura della “Guida alle principali chiese di Barrafranca…” di Gaetano Vicari, la statua su indicazione di fra Palermo, ultimo frate francescano della chiesa san Francesco, viene attribuita a Giuseppe Bagnasco, un artista di Palermo che visse nella prima metà dell’800 (anche se non ci sono elementi per attribuirne la veridicità). Nelle successive revisioni della suddetta Guida, il Vicari ha ipotizzato che la statua possa essere dei fratelli Vaccaro di Caltagirone. L’ipotesi trae origine dal libro del citato storico Giunta e precisamente al Capitolo XXIII ARTE E ARTISTI alla voce “Del Vaccaro”, lo storico scrive «…3. L’Immacolata (statua e pittura) presso i Frati M.M. di S. Francesco».  Difatti, paragonando l’iconografia dell’Immacolata presente nel quadro con i tratti della Statua, il Vicari riscontra molte analogie. Chissà se non sia questa la statua di cui parla lo storico Giunta. Dobbiamo ricordare che le nicchie contenenti le statue erano chiuse con delle tele raffiguranti l’immagine della statua che ricoprivano. La nicchia negli anni trenta conteneva la statua lignea della Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, la cui festa, come ci riferisce il Nicotra, si celebrava in questa chiesa ogni prima domenica di Agosto. Non abbiamo notizia quando la statua della Nostra Signora sia stata sostituita con quella attuale dell’Immacolata.
La stessa ipotesi, che anni addietro è stata avanzata dal Vicari, è ripresa e riproposta dal prof. Paolo Russo della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Enna, durante il Convegno di presentazione del restauro della suddetta statua per opera del restauratore barrese Valentino Faraci, svoltosi il 25 novembre 2017.  Di questi festeggiamenti ufficiali, con relativa processione, se ne persero le tracce. 
Confraternita dell'Immacolata Concezione
Nel 2017 incentivati dalla riapertura al culto della chiesa di san Francesco, alcuni fedeli hanno chiesto e ottenuto dal vescovo, mons. Rosario Gisana, il permesso di ripristinare i vecchi festeggiamenti, portando in processione, la sera dell’8 dicembre, l’antico Simulacro dell’Immacolata. Inoltre è stata costituita una nuova Confraternita, votata proprio all’Immacolata Concezione.
Nel mondo contadino, la festa dell’Immacolata è considerata la prima festa dopo la fine della semina che, anticamente, si svolgeva a novembre, di ringraziamento e di buon auspicio per il nuovo anno agricolo. Non c’era contadino che la mattina dell’8 dicembre, prima di andare in campagna, non si recasse in chiesa ad assistere alla messa in onore dell’Immacolata.
Mufulette (foto web)
Non ha caso in questo giorno si consuma la “muffuletta”, una pagnotta morbida impastata con cumino, pepe e semi di finocchietto (alcuni usano semi di anice). E’un classico pane delle feste invernali, poiché le sue caratteristiche strutturali consentono, in particolare quando è calda e appena sfornata, di essere imbottita facilmente con ricotta, caciocavallo e sugna (strutto), oppure con olio, pepe, acciughe e formaggio. Sembra che il termine “muffuletta” derivi dall’antico termine sassone “muffin”, che indicava una particolare focaccina. Sembra, infatti, che siano stati i soldati dell’imperatore Federico II a “importare” in Sicilia l’abitudine di aromatizzare il pane con semi di “cumino dei prati”, per meglio conservarlo durante le lunghe campagne militari. La relazione con la Vergine Maria pare riguardi l’intendimento popolare in base al quale la “muffuletta” rappresenti il ventre della Vergine, puro come la ricotta che ne costituisce la farcitura. Inoltre si ritiene che i semi di cumino utilizzati nella “muffuletta” favoriscano la monta lattea nelle donne che hanno appena partorito.  A Barrafranca la classica “muffuletta” è con la ricotta di pecora, ma c’è chi la gusta con olio o altro. 
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA

giovedì 1 novembre 2018

LA FESTA DEI MORTI tra storia e tradizione

Entrata del cimitero di Barrafranca

Il 02 novembre ricorre la “Commemorazione dei defunti” o, com'è chiamata in Sicilia, LA FESTA DEI MORTI.  L’origine è molto antica. Questa ricorrenza la ritroviamo già presso gli antichi romani. Questi dedicavano, non un giorno, bensì nove giorni dedicati al ricordo dei loro defunti: dal 13 al 21 di febbraio, ultimo mese del calendario romano. Questi giorni erano chiamati Feralia (dal latino fero, fers) perché, durante questi giorni, i vivi portavano delle offerte ai defunti. I riti servivano a placare gli spiriti dei defunti nei confronti dei vivi con l’aiuto degli Dei Mani. L’offerta votiva poteva essere lasciata dentro una ciotola in mezzo alla via. In questo periodo non si poteva contrarre matrimonio. Con l’affermarsi della nuova religione cristiana, la Chiesa cercò di cancellare le antiche feste “pagane”, cioè appartenenti a religioni precedenti, non abolendole, ma appropriandosene, riconducendole nel proprio ambito e mantenendone vivi solo la data, ma in parte anche il significato. Molti studiosi hanno evidenziato che questa ricorrenza derivi dal “Capodanno Celtico”, che coincideva con il giorno di tutti i santi. In quel giorno, uomini mascherati andavano in giro cantando, nella lingua locale, una canzone detta Hogmanay che cominciava: Stanotte è il primo dell’anno. Hogunnaa! (J.G. Frazer, Il ramo d’oro). Per non snaturare le caratteristiche di “festa dei morti” dell’antico Capodanno Celtico, prendendo atto che comunque il popolo (e in larga parte anche il clero) continuava a conservarle, la Chiesa poi dedicò il giorno successivo, 2 novembre, alla Commemorazione dei defunti: fu Odilone di Cluny, nel 998, a ordinare ai Cenobi dipendenti dell’abbazia di celebrare l’ufficio dei defunti dal vespro del primo di novembre, mentre il giorno seguente i sacerdoti avrebbero offerto al Signore l’Eucarestia "pro requie omnium defunctorum". Il rito poi si diffuse a poco a poco al resto d’Europa, giungendo a Roma solo nel XIV secolo. (Eraldo Baldini, "La festa di Halloween in Romagna e nella Padania: moda importata o tradizione millenaria?", appendice a "Romagna Celtica" di Anselmo Calvetti).
A Barrafranca (EN), come nel resto della Sicilia, la festa dei Morti, è molto sentita ed è caratterizzata da particolari tradizioni. Tradizione vuole che, in questo giorno, ogni cappella, ogni lapide sia adorna di fiori e lumini. 
Cimitero adorno di crisantemi (foto web)
Accanto ai tradizionali "crisantemi", i fiori tipici da portare ai defunti, il cimitero è adorno ormai di tutti i tipi di fiori: dalla rosa al lilium,  all'orchidea. Nei tempi passati, il popolo portava ai loro cari defunti fiori semplici, non ricercati, comuni, dovendo essere una semplice  testimonianza del pensiero per l'estinto. I fiori più comuni che si trovavano ai primi di novembre erano proprio i crisantemi e le margherite. 
Una tradizione molto antica, tipica siciliana, è il "regalo dei Morti", ossia il regalo che, la notte tra l'uno e il due novembre, i cari defunti portano ai bambini sempre se questi si fossero comportati bene durante l'anno. La tradizione vuole che in questo giorno i defunti, avendo voglia di rivedere i loro famigliari, abbiano l’opportunità di uscire dalle loro tombe e di andare, mentre tutti dormono, nelle case dei famigliari a visitarli e a lasciare dei doni ai bimbi.
Come racconta lo storico e antropologo Giuseppe Pitrè, in quella notte immense flotte di spiriti vagano per i paesi alla ricerca delle case dei loro cari, pronti a lasciare ai più piccoli, anime pure, i doni. Nel loro viaggio, i morti seguono un ordine ben preciso: prima coloro che morirono di morte naturale, poi i giustiziati, i disgraziati (morti per disgrazia loro incolta), i morti di subito (cioè repentinamente) e via di questo passo. Nessun umano li deve vedere, pena la morte del curioso. 
Processione dei morti (foto web)
Particolare la descrizione che il Pitrè ci fornisce di com'erano "questi morti": in alcuni paesi siciliani si racconta che fossero vestiti di bianco, in altri si dice camminano lenti perché hanno il teschio più pesante rispetto al collo, in altri che hanno un collo in fil di ferro. Questa tradizione trae origine da credenze pagane sopravvissute fino all’alto medioevo. La letteratura medievale dei "mirabilia" è particolarmente ricca di racconti relativi ad apparizioni degli spiriti dei defunti ai vivi. Nella società medievale la forma di esistenza che si attribuisce agli spiriti dei morti dipende dallo svolgimento del «rito di passaggio» della morte: i morti ritornano quando i cerimoniali funebri non si sono potuti svolgere adeguatamente, in caso di morte violenta, di suicidi, donne morte di parto, bambini non battezzati, briganti, criminali insepolti. La credenza negli spiriti trae inoltre origine dal culto dei morti proprio del tessuto culturale precristiano, sia di matrice greco-romana che germanico-celtica La Chiesa alto medievale si preoccupava molto della credenza secondo cui i morti possono tornare a visitare i vivi, in quanto incarnava una delle sopravvivenze del paganesimo e, a partire dal XI secolo, dimostrò una decisa volontà verso la cristianizzazione del residuo pagano del culto dei morti. Tra 1024 e 1033 Cluny istituì, in data 2 novembre, la festa dei Morti, strategicamente collocata il giorno successivo di Ognissanti. La celebrazione conobbe subito una grande fortuna e velocemente si impose in tutta la cristianità occidentale come il momento chiave della commemorazione liturgica dei morti.
"Pupi di zucchero"
Ritornando alla tradizione popolare, non c’era bambino che la mattina del 2 novembre, impaziente di cercare, non andasse in giro per casa il regalo dei morti, nascosto con astuzia dalle madri, in posti meno sospettosi. Si rovistava anche nei posti più strani della casa, finché non saltava fuori il regalo. Il Pitrè, nel descrivere la festa dei morti in Sicilia, riporta una preghiera che era recitata proprio la mattina della festa dei morti, mentre si cercavano i regali: Armi santi, armi santi, io sugnu uno e vuatri siti tanti: mentri sugnu 'ntra stu munnu di guai, cosi di morti mittitiminni assai(Anime sante, anime sante, io sono uno e voi siete tanti; mentre sono in questo mondo di guai regali dei morti mettetene in abbondanza). 
Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri descrive in questo modo questa tradizione: "Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio". (Tratto da: Racconti quotidiani)
In cosa consisteva il tanto atteso il regalo dei Morti? Questo poteva essere un vassoio di dolci, di frutta, oppure giocattoli o abiti.  
Cesto con taralli e frutta Martorana
Anni fa a Barrafranca si regalavano, in cesti abbelliti con carta velina colorata, frutta di stagione: melagrane, melacotogne, fichi secchi, noci, mandorle e nocciole, oltre ai "pupi di zucchero", considerati dal Pitrè come "i dolci del basso volgo", regalati dalle famiglie più povere. Questi potevano avere la forma di guerrieri a cavallo, signore, trombe. Alle fidanzate invece si regalava un cestino con "frutta Martorana", tipico dolce siciliano realizzato impastando farina di mandorle e zucchero e modellato a forma di frutta e di ortaggi. Secondo la tradizione, questo dolce deve il suo nome alla Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio o della Martorana. Si racconta che, per abbellire il monastero per la visita papale, le monache, in mancanza dei frutti del loro orto, crearono nuovi frutti con mandorla e zucchero. Negli anni’ 50 s’iniziarono a regalare i primi giochi, realizzati in legno o, per le famiglie più ricche, i giochi di latta. Alle femminucce le bambole di pezza, realizzante dalle mamme o dalle nonne e ogni anno, per il giorno dei morti, i defunti portavano una veste nuova. In questi giorni non c’è barrese che non mangi i "taralli", quelle dolci e gustose prelibatezze ricoperte di glassa bianca o al cioccolato, tipiche di Barrafranca. I simboli sono chiari: la glassa nera rappresenta la morte, quella bianchi la vita. Oltre ai taralli vengono consumati i "totò", più piccoli, ma anch'essi gustosi, realizzati solo al cioccolato. 
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA


domenica 14 ottobre 2018

La devozione barrese alla Madonna della Catena


Madonna della Catena- anno 2015
La seconda domenica di ottobre a Barrafranca (EN) si festeggia la Madonna della Catena, venerata nella chiesa Madre della Divina Grazia, che ne custodisce un simulacro ligneo. 
Il culto della Madonna della Catena nasce nel 1392 a Palermo, quando in Sicilia regnava il sovrano Martino I d’Aragona (re dal 1392 al 1409). Antonio Mongitore, riprendendo il racconto dell’abate Pirri e di altri storici, narra la vicenda del miracolo, datato il 23 agosto 1392. Mentre tre giovani, condannati ingiustamente, venivano condotti al patibolo nella “gran piazza della marina” (Palermo), scoppiò un temporale, per cui i ministri della giustizia furono costretti a ripararsi nella vicina chiesetta allora chiamata di S. Maria del Porto. Essendo che la tempesta non cessava, furono costretti a rimanere lì e per sicurezza aumentarono le catene ai due giovani. Durante la notte, di fronte alle incessanti preghiere dei tre giovani, la Vergine sciolse le catene lasciandoli liberi. Questi uscirono dalla chiesa andando in giro a raccontare cosa era successo. Quando all’alba le guardie si accorsero del fatto, andarono a cercare i fuggitivi per arrestarli, ma furono bloccati dal popolo che ricorsero al re. Quando questi andò in chiesa, vide con i suoi occhi il miracolo e lasciò liberi i giovani. Da allora i miracoli della Madonna si moltiplicarono e il culto si diffuse in tutta la Sicilia e nell’Italia meridionale.
Madonna della Catena al ritorno dal restauro
A Barrafranca (EN) nella chiesa Madre della Divina Grazia si trova un altare dedicato alla Madonna della Catena (ricoperto da stucchi eseguiti da Santo Scarpulla nel 1956) al cui interno troviamo  la statua lignea della Vergine, scolpita agli inizi degli anni ’50 (che ha sostituito la vecchia statua in carta pesta).
L’ultimo restauro risale a quest’anno, effettuato a Ortisei (BZ) da una ditta specializzata nel settore del restauro del legno. Tanta la devozione alla Madonna della Catena che domenica 24 maggio 2015 la statua, di ritorno dal restauro, è stata accolta dai fedeli nella piazzetta san Pio e portata in processione fino alla chiesa, accompagnata dalle festanti marce della Banda Musicale "Vincenzo Bellini" di Barrafranca, diretta dal maestro Oreste Crapanzano. 
Fino agli anni ’70, la festa prevedeva, come succede per le altre ricorrenze, la processione serale per la tradizionale "via dei Santi". Dopo la sospensione di molte processioni dovute alla Riforma Vaticana,  i festeggiamenti si svolgono in chiesa con le celebrazioni liturgiche, preceduti da una novena o novenario i preparazione alla festa. Solo in casi particolari (come ricorrenze o anniversari della parrocchia) il Simulacro della Madonna è portato in processione per le vie adiacenti alla parrocchia.
Tela Madonna della Catena
Nella suddetta chiesa è presente anche una tela della Madonna della Catena (1,30m ×2.08m) fu dipinta nel 1921 dal Cav. Corrado Attanasio, per iniziativa del sacerdote Calogero Marotta, allora rettore della chiesa. Tutto ciò si evince da una scritta posta alla base della tela. Anticamente questa tela ricopriva la nicchia dell’altare dedicato alla Madonna della Catena, dove adesso trova posto una statua lignea scolpita negli anni ’50, che ha sostituito un’antica realizzata in carta pesta. La tela è ritornata al suo posto nell’aprile 2016, dopo esser stata ripulita e dotata di una cornice lignea, in castagno siciliano, realizzata dal Maestro d’Arte barrese Renzo Giunta e offerta da don Salvatore Nicolosi e da Diego e Rosa Aleo
La presenza della tela dimostra la grande devozione che già agli inizi del 900 si praticava in questa chiesa verso la Madonna della Catena.
(Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA


giovedì 4 ottobre 2018

I PALLUNA DI SAN FRANCI’- antica tradizione barrese

Volo dei "palloni di san Francì" anno 2017
Un’antica tradizione che si svolge a Barrafranca (EN) il 4 ottobre, giorno in cui si festeggia san Francesco d’Assisi, è il volo dei “palloni aerostatici ad aria calda”, chiamati dai barresi “i palluna di san Francì”. Dopo la benedizione degli animali, davanti al sagrato della chiesa di san Francesco, sita in Piazza Regina Margherita, i coloratissimi e variopinti “palluna” saranno fatti alzare al cielo palloni, tra la gioia e lo stupore dei partecipanti. 

A Barrafranca l’utilizzo di palloni aerostatici nei festeggiamenti in onore di San Francesco risale ai tempi in cui nel convento francescano era presente Fra Agnello (1884-1977), padre dell’ordine dei frati minori. 
Padre Agnello 
Molto legato al culto del Santo, padre Agnello cercò di valorizzarne la festa realizzando dei palloni ad aria calda da far volare la sera della festa. Padre Agnello amava utilizzare materiali poveri, semplici, come carta velina colorata, colla vinilica, fil di ferro, che ben si prestavano anche per la loro leggerezza. Si realizzavano enormi palloni fatti gonfiare mediante l’aria creata dalla combustione di un po’ di paglia alla base dei palloni e questo permetteva loro di volare alti nel cielo. Simboli di gioia e di allegria, il loro volo simboleggia l’elevarsi dell’anima verso il cielo, alla ricerca di Dio. Difatti la festa andava a buon esito quando i palloni riuscivano a volare alti in cielo senza bruciarsi. Con il trasferimento di padre Agnello in un altro convento, la costruzione dei palloni andò scemando, tanto che scomparvero. Dopo alcuni anni, il recupero dei palloni si ebbe grazie al maestro Gaetano Orofino (1924-2005) che insegnò ad alcuni della Proloco locale come realizzarli. Uno di questi fu il signor Malfitano che iniziò a costruire i palloni aerostatici nella sede dell’Associazione “Gruppo Spettacolo Arcobaleno”. Da allora ogni anno l’Associazione Arcobaleno si adopera affinché la tradizione si perpetui. Difatti sono le giovani leve a realizzare i palloni. Negli anni anche gruppi di scolaresche e altre associazioni come il “Gruppo Nuovamente Tradizione”, si sono cimentate nella costruzione dei palloni. Grazie all'impegno di tutti loro, questa tradizione continua ancora a persistere.
Striscia iniziale del pallone

I palloni aerostatici sono realizzati con strisce colorate di carta velina, incollate tra loro con una leggera platina di colla vinilica (diluita al 90%) a formare un pallone simile a una mongolfiera. Essi sono realizzati seguendo uno schema ben preciso: il pallone è suddiviso in tre parti: “Striscia iniziale”, “Pancia” e “Coperchio”. Prima si realizzano tre diverse sagome in cartone che serviranno per le tre diverse parti. Quando tutto è pronto, striscia d’inizio, pancia e coperchio vengono incollati tra di loro e già il pallone tende a chiudersi da solo. 
Coperchio del pallone
Poi viene chiuso, formando così il pallone, con il sopra e il sotto vuoti. Infine viene rigirato e la parte alta viene chiusa con un foglio circolare del diametro del foro, cui viene attaccata una maniglietta sempre realizzata in carta velina, che servirà per appendere il pallone nella fase in cui verrà gonfiato. Difatti il pallone viene tenuto alzato mediante una canna con l'estremità un uncino che servirà per appendere il pallone mediante la maniglietta posta all’estremità, quanto la fase di riscaldamento con aria calda. Alla base, invece, viene inserito del fil di ferro zincato o il cerchio di plastica che utilizzano le sarte nel realizzare i vestiti da sposa, che conferisce la forma arrotondata, creando una bocca circolare.

A questa vengono inserite alcuni fil di ferro incrociati al centro. Qui, nel punto d’incontro, viene realizzata, sempre in fil di ferro una struttura a cerchio, dove trova posto del cotone imbevuto di benzina. L’aria calda che si crea dentro al pallone lo fa gonfiare, fornendogli la forza ascensionale per alzarsi da terra e volare in cielo. Il principio è semplice: per ottenere una spinta sufficiente a farlo volare, l'aerostato deve essere riempito di un gas più leggero dell'aria, in questo caso l’aria calda, e che venga superato il punto di equilibrio tra il peso dell'aerostato e quello dell'aria che esso sposta. Dopo il decollo l'aerostato salirà fino a quando verrà raggiunto un nuovo punto di equilibrio. Il vento lo porterà lontano, fino a quanto non si consumerà definitivamente!
(Le foto risalgono ai festeggiamenti del 2017. Il pallone è stato realizzato da Daniele Cumia, Luigi Bellanti e Simone Bonelli.)
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)
RITA BEVILACQUA 
Base in fil di ferro per contenere il cotone
Prova di riscaldamento
Pallone finito

(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

sabato 29 settembre 2018

Devozione barrese alla NOSTRA SIGNORA DEL SACRO CUORE

Fercolo della "Nostra Signora del Sacro Cuore" dopo il restauro del 2015

A Barrafranca (EN) la festa della Nostra Signora del Sacro Cuore, che nel paese si festeggia l’ultima domenica di settembre, chiude il ciclo delle feste estive dedicate alla Madonna.  Non sappiamo quando a Barrafranca sono iniziati i festeggiamenti. Nel suo Dizionario (1907) il Nicotra scrive che una statua della suddetta Madonna si trovava nella chiesa di san Francesco nell'omonimo altare (attualmente  reca una statua dell’Immacolata) e si celebrava in questa chiesa ogni prima domenica di agosto (vedi anche "Guida alle principali chiese di Barrafranca" del barrese Gaetano Vicari). Non sappiamo perché fu spostata la data. Si potrebbe ipotizzare che, dovendo chiudere il ciclo estivo dei festeggiamenti concernenti i vari patroni o santi che caratterizzano tutti i comuni siciliani, anche a Barrafranca si decise di festeggiare a fine settembre la nuova devozione, sorta con l’arrivo in paese della statua, avvenuta nel 1879 e realizzata dalla casa Daniel di Parigi, sotto richiesta dei frati minori per la loro chiesa di san Francesco. In seguito a questioni sorte tra i frati, la statua fu donata alla chiesa Madonna dell’Itria. La statua fu posta nella nicchia dell’altare Maggiore della chiesa che prima custodiva la statua della Madonna dell’Itria. Nell'estate 2015 la statua fu inviata a Ortisei (BZ) per essere restaurata e riportata agli antichi splendori. Il restauro è stato effettuato dalla ditta Stuflesser di Ortisei, restauratori e realizzatori di sculture di legno. Il tutto è stato possibile grazie alle offerte dei fedeli. I festeggiamenti prevedono una novena di preparazione, che si svolge nella chiesa della Madonna dell’Itria e infine i festeggiamenti di domenica con la tradizionale processione serale per la "Via dei Santi".
La devozione della Chiesa Cattolica alla Nostra Signora del Sacro Cuore risale al 1857 e nasce a Bourges, in Francia, dove un giovane sacerdote Giulio Chevalier (1824-1907) fonda la “Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore”. Fu proprio il giovane sacerdote a far presente ai suoi confratelli che nella sua congregazione Maria sarebbe stata onorata con il titolo di “Nostra Signora del Sacro Cuore”. La prima effige risale al 1891 e l’immagine prescelta era l’Immacolata (come appariva nella medaglia miracolosa di Caterina Loboué), ma con una novità: in piedi, davanti alla Madonna, vi era Gesù fanciullo mentre con la sinistra mostra il suo cuore e con la destra indica la madre. L’immagine fu poi cambiata nel 1874 da papa Pio IX in quella che attualmente è riconosciuta dalla chiesa (e che fino a qualche anno fa si usava pure a Barrafranca): Maria con il bambino in braccio nell’atto di svelarne il Cuore, mentre il Figlio indica la Madre. La preghiera che si legge dietro l’immagine fu scritta dallo stesso Chevalier. Il calendario liturgico non prevede una giornata particolare in cui celebrare la “Nostra Signora del Sacro Cuore”.


Preghiera scritta da Giulio Chevalier:
"Ricordatevi o Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, del potere ineffabile che il vostro divin Figliolo vi ha dato sopra il suo Cuore adorabile. Pieni di fiducia nei vostri meriti, noi veniamo ad implorare la vostra protezione. O Celeste Tesoriera del Cuore di Gesù, di quel Cuore ch’è la sorgente inesauribile di tutte le grazie, e che Voi potete aprire a vostro piacere, per farne discendere sopra gli uomini tutti i tesori di amore e di misericordia, di lume e di salute ch’Esso racchiude in sè, concedeteci, ve ne scongiuriamo, i favori che vi domandiamo… No, noi non possiamo ricevere da Voi alcun rifiuto, e poiché Voi siete la nostra Madre, o Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, accogliete benignamente le nostre preghiere e degnatevi di esaudirle.
Così sia."
(Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA

venerdì 21 settembre 2018

21 settembre 1990: il giudice Rosario Livatino fu ucciso con armi rubate a Barrafranca

A sinistra la macchina del giudice Livatino- a destra Rosario Livatino

Aveva solo 38 anni (li avrebbe compiuti a breve) il giudice Rosario Livatino quando perse la vita nella lotta contro la mafia, colui che voleva dare “un’anima alla legge”, come aveva detto poco prima di morire. Ad ucciderlo dei sicari che imbracciavano armi rubate mesi prima a Barrafranca (EN).
Erano circa le nove di un tranquillo venerdì di settembre,  precisamente il 21 settembre 1990,  quando sulla statale 640 Agrigento-Caltanissetta il giudice Rosario Livatino, mentre si trovava nella sua auto, una Ford Fiesta amaranto,  fu ucciso da alcuni killer a bordo di un’auto e di una moto. Nonostante il giudice fosse già morto, l’assassino inferì sul suo corpo sparandogli ancora in segno di sfregio e lasciandolo in una pozza di sangue.
Viaggiava senza scorto il Giudice che voleva infliggere un duro colpo alla mafia. Aveva indagato su appalti, traffico di droga, riciclaggio e su vicende di mafia. Durante le indagini fu scoperto che le armi usate per l’agguato erano state rubate il 30 marzo 1990 a due carabinieri in servizio a Barrafranca (EN). Questo è emerso dal processo che si è svolto a Caltanissetta nel dicembre del 2003 a carico  di S.B. di Ravanusa, che all’epoca della rapina a Barrafranca aveva 17 anni. (Fonte: quotidiano “La Sicilia”,  articolo pubblicato nel 2004 da Angelo Severino). Riportiamo i fatti.
Stele in onore del giudice Livatino
Il 30 marzo del 1990 S.B. si trovava, insieme ad altri quattro ravanusani, a Barrafranca (EN) con lo scopo di compiere una rapina all’ufficio postale, allora sito nel centro del paese. La rapina però fallì poiché sul posto erano arrivati due carabinieri della locale Stazione per un ordinario controllo del territorio. La banda decise allora di aggredire i due militari dell’Arma e, pistole alle mani, li minacciarono e li derubarono delle armi: due pistole tipo Beretta M92 e una mitraglietta M12. A causa dell’increscioso evento, i due militari furono trasferiti altrove. Da successive indagine emerse che le armi rubate ai carabinieri in servizio a Barrafranca, furono successivamente utilizzate per compiere crimini anche eclatanti, come nel caso dell’uccisione del giudice Rosario Livatino.
Per la morte del giudice Livatino sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti  sono stati tutti condannati, in tre diversi processi, all’ergastolo con pene ridotte per i “collaboranti”. Nel 1993 il vescovo di Agrigento ha incaricato Ida Abate, che del giudice fu insegnante, di raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione. Il 19 luglio 2011 è stato firmato dall’arcivescovo di Agrigento il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione, aperto ufficialmente il 21 settembre 2011 nella chiesa di San Domenico di Canicattì. Nel luogo dove fu ucciso i genitori del giudice hanno fatto erigere una  Stele ad eterna memoria. Tuttavia, il 18 luglio 2017 mani sacrileghe hanno danneggiato la Stele.
Rosario Livatino
ROSARIO LIVATINO era nato a Canicattì (AG) il 3 ottobre 1952, figlio di un avvocato di nome Vincenzo  e di Rosalia Corbo. Conseguita la maturità, nel 1971 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Palermo presso la quale si laureò nel 1975 cum laude. Tra il 1977 ed il 1978 prestò servizio come vicedirettore in prova 119 119 presso l’Ufficio del Registro di Agrigento. Sempre nel 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per uditore giudiziario, entrò in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta. Nel 1979 diventò sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e ricoprì la carica fino al 1989, quando assunse il ruolo di “giudice a latere”. Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli Siciliana ed aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni. Numerose le inchieste sulla mafia dell’agrigentino e di altre zone della regione.  Per questo motivo la mafia decise di eliminarlo! 
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA


venerdì 14 settembre 2018

In occasione dell’Esaltazione della Croce, Barrafranca celebra il SS. Crocifisso




L’ESALTAZIONE della CROCE, che ricorre il 14 settembre, è una ricorrenza religiosa in cui la Chiesa commemora “LA CROCE” dove fu Cristo fu Crocifisso. La glorificazione di Cristo passa attraverso il supplizio della croce e l’antitesi sofferenza-glorificazione diventa fondamentale nella storia della Redenzione: Cristo, incarnato nella sua realtà concreta umano-divina, si sottomette volontariamente all’umiliante condizione di schiavo (la croce, dal latino “crux”, cioè tormento, era riservata agli schiavi) e il supplizio viene tramutato in gloria. La croce diventa il simbolo e il compendio della religione cristiana. La data scelta ricorda il ritrovamento della croce di Gesù da parte di sant’Elena, avvenuto nel IV secolo e secondo la tradizione proprio il 14 settembre: in quel giorno la reliquia fu alzata dal vescovo di Gerusalemme di fronte al popolo, che fu invitato all’adorazione. La festa in onore della Croce venne celebrata la prima volta nel 335, in occasione della “Crucem” sul Golgota, e quella “dell’Anàstasis”, cioè della Risurrezione. Col termine di “esaltazione”, che traduce il greco hypsòsis, la festa passò anche in Occidente, e a partire dal secolo VII, essa voleva commemorare il recupero della preziosa reliquia fatto dall’imperatore Eraclio nel 628 d.C.

In occasione della festa, a Barrafranca (EN) i fedeli possono rivedere e adorare il SS. Crocifisso, che si trova nella chiesa Madre. Tutto l’anno il Santissimo è custodito dentro ad un tabernacolo posto nell’omonimo altare e viene “svelato” ed esposto ai fedeli solo tre volte l’anno: il Venerdì Santo, che è portato in processione, l’Ottava del venerdì santo, per le funzioni in chiesa e il 14 settembre, in occasione della festa dell’esaltazione della Croce. I fedeli troveranno il Santissimo esposto nell’ altare maggiore e avranno anche la possibilità di partecipare alle funzioni liturgiche, alla fine delle quali potranno baciare il Santissimo e portare a casa il cotone benedetto. Ogni anno per l’occasione la Chiesa Madre è gremita di persone che vanno a render omaggio al Santissimo, a pregare e, secondo una pratica cristiana, a baciarlo. A conclusione della giornata,  in religioso silenzio il popolo dei fedeli aspetta che il Santissimo venga velato e riposto nella teca che lo custodisce tutto l’anno. Ritornerà tra i suoi fedeli nella giornata del Venerdì Santo.
Ma che valenza assume nel culto cristiano questo bacio?

L’atto del baciare è uno dei gesti più usati nella vita sociale: si baciano i figli, i coniugi, gli amici. Anche nel culto cristiano, il bacio ha un’importante valenza simbolica. Come gesto, il bacio appartiene a quel linguaggio non verbale che è pur tipico della liturgia e della devozione: ne sono esempio il baciare immaginette sacre, statue e soprattutto le immagini del Crocifisso. Questa è una consuetudine molto antica e deriva dall'usanza che c’era a Gerusalemme di far baciare il “Legno della Croce” ai pellegrini, perché quel Legno fu reso sacro dal Sangue del Signore e quindi era un gesto di venerazione verso Nostro Signore che patisce e muore in Croce per noi. Da Gerusalemme, tramite i pellegrini l’adorazione della Croce arrivò alle altre Chiese.  Non esistono altre occasioni liturgiche che prevedano cose simili. Vi è, però, in molte occasioni la tradizione (non liturgica) di venerare la Vergine Maria o i Santi (soprattutto le reliquie) con il bacio. Dopo il Concilio Vaticano II, con l’istituzione «Inter Oecumenici» del 1964 (n. 36), sono stati soppressi diversi baci a oggetti sacri. In questo contesto, il bacio diventa elemento di comunicazione, sia a livello antropologico e psicologico e, di conseguenza, come segno per esprimere un atteggiamento di fede. Quando i fedeli a massa si recano a “baciare” il SS. Crocifisso inchiodato alla Croce non fanno altro che andare ad adorare, con sentimenti di amore riverenziale, chi è morto in croce per salvare l’umanità, a entrare in comunione con le sue sofferenze. Il bacio diventa così centrale nel momento dell’adorazione: permette al fedele un contatto fisico diretto con il Cristo, divenendo simbolo di unione e riconciliazione. 
Fonte: Rita Bevilacqua, SETTIMANA SANTA A BARRAFRANCA, Bonfirraro Editore, 2014 (Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA