domenica 13 ottobre 2019

"Quannu Annunziata veni di luni, si fa festa a Muntrauni"- sentenziava un antico detto barrese

Monte Navona visto dalla SP 15

I barresi, da buoni siciliani, motteggiavano su tutto. Alcuni detti traevano spunto da favole o leggende narrate per meravigliare e stupire grandi e piccini. Uno di questi detti trae spunto da una leggenda popolare che vede come protagonista Monte Navona, sito tra i paesi di Piazza Armerina e Barrafranca. Alto 754 metri,  appartiene alla catena dei Monte Erei, nella Sicilia centro-meridionale. 
“Quannu Annunziata veni di luni, si fa festa a Muntrauni”, sentenziava il detto. Si raccontava che quando la festa dell’Annunziata (ossia la festa dell'Annunciazione della Beata Vergine Maria, che la Chiesa festeggia il 25 marzo) coincide di lunedì, a Monte Navone si fa festa con una particolare fiera. In un passo del libro “Piccola Pretura” di Giuseppe Guido Loschiavo si legge che: «Al tempo dei Saraceni, sulla sommità del monte, c’era una città. Fu distrutta dalle guerre successive. Mia nonna mi raccontava che, dopo che la città era stata distrutta, un tale mastro Carretto, contadino di Piazza Armerina, andò a caccia sulla montagna, precisamente nella ricorrenza dell’Annunziata, si ridusse sul piano del monte. E quivi, era lunedì, trovò una ricchissima fiera di animali e merci. Volle acquistare qualche cosa da portare a casa come ricordo; però i venditori gli dissero che tutto quello che vedeva non si vendeva, si regalava. Volle, allora, mastro Carretto prendere qualche moneta d’oro da un banco di cambiavalute, e questi e gli altri venditori lo incoraggiarono a prendere quanto più potesse. Mastro Carretto si riempì le tasche dei pantaloni, della cacciatora, il fazzoletto, il berretto e lieto per l’avventura, che lo rendeva ricco, mosse per tornare a casa. Allora gli strani mercanti lo avvertirono che egli avrebbe potuto portare a casa indisturbato il tesoro purché non si fosse voltato indietro fino all'abbeveratoio dell’usignolo. Mastro Carretto rise, scrollò le spalle e si mise in cammino leggero leggero perché scendeva al piano e la via era comoda. Fatti pochi passi cominciò a sentire dentro di se rumori di catene, suoni di campanelli, voci di richiamo, grida di minacce, chiasso, scalpiccio di gente. Si mise a correre e il fracasso d’appresso. Sentiva una torma di gente alle calcagna come se volessero accopparlo. Resistette, resistette, finché, terrorizzato, a pochi metri dalla fonte si voltò indietro. Aveva Perduto! Dietro di lui non c’era nulla, però mani invisibili lo graffiarono, gli strapparono a bravi i vestiti e gli tolsero il denaro, lo percorsero, lo lasciarono privo di sensi sul luogo. Molte ore dopo alcuni viandanti lo trovarono ancora per terra e dalle ustioni che aveva nel corpo, convennero che i diavoli l’avevano conciato così». 
Monte Navona visto dalla SP 15
Altra variante è quella dal maestro barrese Sandro Messina, riportata in un suo manoscritto dal titolo “I disperati”:
«La notte dell'Annunziata, quando questa viene di lunedì, perché allora gli spiriti degli uomini là sepolti, si alzano e fanno la fiera. Difatti c'è un proverbio che dice:
"QUANNU ANNUNZIATA VENI DI LUNI SI FA FESTA A MUNTRAUNI"
Si racconta di un tale, un pastorello, che pernottò sul monte col suo gregge proprio la notte dell'Annunziata a sua insaputa, a mezzanotte si svegliò avendo sentito un gran fracasso: si accorse che tanta gente vendeva cose da mangiare. Avendo appetito, tirò dalla sua tasca quattro soldi e comprò alcune arance e un pezzo di pane. Appena si saziò, comprò altre arance di cui si riempì la "sacchina". Appena cominciò ad albeggiare, non vide più niente, tornò a casa e quando disse ai suoi fratelli:
- Vi ho portato delle belle arance di Montenavone! - questi risposero:
- Quanto mai Montenavone ha fatto arance! -
- Guardate, guardate! - diceva il pastorello, sicuro del fatto suo, e svuotava la "sacchina" guardando pure lui. Che cosa videro? Cosa incredibile per quei semplici pastori: le arance erano diventate marenghe d'oro del tesoro di Montenavone. Si parla pure di un contadino che, zappando, abbia trovato una giara piena di marenghi d'oro, e abbia riempito una bisaccia e portata a casa sul suo mulo. Si dice che avrebbe riferito alla moglie ciò, ma che, per la troppa gioia che ne provò tutto l'oro sia scomparso e si sia trasformato in gusci di lumache, per punizione per non avere saputo mantenere il segreto, secondo quanto gli aveva ordinato lo spirito che in sogno gli indicò il luogo del tesoro. Dato che le leggende sono molte, la gente parla dei diversi modi come impossessarsi del tesoro».
FONTI: Giuseppe Guido Loschiavo, Piccola Pretura, 1948; Sandro Messina, I disperati, Storie e leggende di Barrafranca negli anni '40 e '50. 
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)

RITA BEVILACQUA 



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