mercoledì 9 maggio 2018

“Chi ti pozzano manciari li cani!” antica invettiva siciliana


Moneta di Adrano
Quante volte abbiamo sentito dire dalle persone più anziane “Chi ti pozzano manciari li cani!”. Ma cosa vuol dire?
Ci troviamo di fronte ad un'invettiva siciliana, rivolta contro un uomo considerato disonesto per augurargli di venire sbranato da cani inferociti. L'invettiva affonda le radici nel culto del dio Adranos. Come raccontano alcuni storici, sulle pendici dell’Etna nei pressi dell’odierna Paternò, sorgeva un tempio con all’interno una statua che raffigurava il Dio armato con una lancia, simbolo della potenza del vulcano. I greci associarono il Dio oltre che alla guerra, anche al fuoco, identificandolo con Efesto. Secondo lo storico Adolf Holm nella sua “ Storia della Sicilia nell'antichità” (1896-1901) furono attribuite ad una sola divinità notizie riguardanti due diverse divinità e, per questo motivo, Adranos riunì in sé sia il carattere di dio della guerra, indicato dalla lancia, che quello di dio del fuoco, proprio di Efesto. Al tempio del dio Adrano, situato nei pressi del laghetto Naftia, accorreva una gran folla di fedeli, proveniente da ogni parte dell’isola. Questo tempio era sorvegliato dai numerosi cani: i cani di “Adranos”. Di essi  parla il filosofo e scrittore latino (che però scriveva in lingua greca) Eliano, vissuto tra il 165/170 cca e il 235 a.C. In Sicilia esisteva un tempio dedicato al dio Adranos, custodito da “non meno di mille cani” (animali sacri al dio). Eliano, nella sua opera “ΠΕΡΙ ΖΏΩΝ ΙΔΙΟΤΗΤΟΣ” (tradotta in latino come “De Natura Animalium”), descrive in modo molto simile i cani di Adrano e quelli di Efesto.
Eliano così racconta: “Nella città di Aitna (Etna), in Sicilia, è oggetto di culto particolare un tempio dedicato ad Efesto. Qui si trovano un recinto, alberi sacri e un fuoco inestinguibile, mai spento. Intorno al tempio e al bosco ci son segugi sacri che accolgono festosamente e scodinzolando coloro che accedono al tempio e al bosco sacro con animo umile e aspetto rispettabile. Come se li conoscessero, essi si mostrano benigni nei loro confronti; se invece entra qualcuno empio e con le mani macchiate da azioni esecrabili, lo mordono e lo dilaniano; si limitano invece a scacciare e ad inseguire coloro che si siano contaminati con atti di libidine”.
Questi cani – che custodivano il fuoco – vengono però descritti da altri Autori come statue d’oro e non come animali in carne ed ossa.
La leggenda racconta che a custodire il tempio ci fossero numerosi cirnechi, cani da caccia tipici dell’Etna. La razza derivava dai cani dei faraoni egiziani, in particolare dallo sciacallo sacro al dio Anubis,  dio della mummificazione e dei cimiteri,  protettore delle necropoli e del mondo dei morti, rappresentato come un uomo dalla testa di canide.
Tornado ai cani di Aranos, questi cani erano così intelligenti da distinguere i buoni visitatori dai cattivi. Si mostravano accoglienti nei confronti dei fedeli accorsi al tempio con doni da offrire al dio, ma aggressivi e spietati nei confronti di chi si avvicinava al luogo di culto con l’intenzione di compiere razzie. Si avventavano contro gli spergiuri e i ladri intenzionati a fare bottino e li sbranavano senza pietà. In numerose monete di quel periodo, esposte nei musei in particolare in quello di Adrano, si vede sul recto la testa di un guerriero con elmo corinzio e cimiero e sul verso il cane cirneco.
Da ciò è nata l’espressione siciliana “chi ti pozzanu manciari li cani, (che ti possano mangiare i cani) come forma di imprecazione contro qualcuno che fa una cosa malvagia.
(Foto e materiale sono soggetti a copyright) 

RITA BEVILACQUA


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