Moneta di Adrano |
Quante
volte abbiamo sentito dire dalle persone più anziane “Chi ti pozzano manciari
li cani!”. Ma cosa vuol dire?
Ci
troviamo di fronte ad un'invettiva siciliana, rivolta contro un uomo considerato disonesto per augurargli di venire sbranato da cani inferociti. L'invettiva affonda
le radici nel culto del dio Adranos. Come raccontano alcuni storici, sulle
pendici dell’Etna nei pressi dell’odierna Paternò, sorgeva un tempio con
all’interno una statua che raffigurava il Dio armato con una lancia, simbolo
della potenza del vulcano. I greci associarono il Dio oltre che alla guerra,
anche al fuoco, identificandolo con Efesto. Secondo lo
storico Adolf Holm nella sua
“ Storia della Sicilia nell'antichità” (1896-1901) furono
attribuite ad una sola divinità notizie riguardanti due diverse divinità e, per
questo motivo, Adranos riunì in sé sia il carattere di dio della guerra,
indicato dalla lancia, che quello di dio del fuoco, proprio di Efesto. Al tempio del dio Adrano,
situato nei pressi del laghetto Naftia, accorreva una gran folla di fedeli,
proveniente da ogni parte dell’isola. Questo tempio era sorvegliato dai
numerosi cani: i cani di “Adranos”. Di essi parla il filosofo e scrittore latino (che però
scriveva in lingua greca) Eliano, vissuto tra il 165/170 cca e il 235 a.C. In
Sicilia esisteva un tempio dedicato al dio Adranos, custodito da “non meno di
mille cani” (animali sacri al dio). Eliano, nella sua opera “ΠΕΡΙ ΖΏΩΝ
ΙΔΙΟΤΗΤΟΣ” (tradotta in latino come “De Natura Animalium”), descrive in modo
molto simile i cani di Adrano e quelli di Efesto.
Eliano così racconta: “Nella città di Aitna (Etna), in Sicilia, è oggetto di
culto particolare un tempio dedicato ad Efesto. Qui si trovano un recinto,
alberi sacri e un fuoco inestinguibile, mai spento. Intorno al tempio e al
bosco ci son segugi sacri che accolgono festosamente e scodinzolando coloro che
accedono al tempio e al bosco sacro con animo umile e aspetto rispettabile.
Come se li conoscessero, essi si mostrano benigni nei loro confronti; se invece
entra qualcuno empio e con le mani macchiate da azioni esecrabili, lo mordono e
lo dilaniano; si limitano invece a scacciare e ad inseguire coloro che si siano
contaminati con atti di libidine”.
La
leggenda racconta che a custodire il tempio ci fossero numerosi cirnechi, cani
da caccia tipici dell’Etna. La razza derivava dai cani dei faraoni egiziani, in
particolare dallo sciacallo sacro al dio Anubis, dio della mummificazione e
dei cimiteri, protettore
delle necropoli e del mondo dei morti, rappresentato come un
uomo dalla testa di canide.
Tornado
ai cani di Aranos, questi cani erano così intelligenti da distinguere i buoni
visitatori dai cattivi. Si mostravano accoglienti nei confronti dei fedeli
accorsi al tempio con doni da offrire al dio, ma aggressivi e spietati nei
confronti di chi si avvicinava al luogo di culto con l’intenzione di compiere
razzie. Si avventavano contro gli spergiuri e i ladri intenzionati a fare
bottino e li sbranavano senza pietà. In numerose monete di quel periodo,
esposte nei musei in particolare in quello di Adrano, si vede sul recto la
testa di un guerriero con elmo corinzio e cimiero e sul verso il cane cirneco.
Da
ciò è nata l’espressione siciliana “chi
ti pozzanu manciari li cani, (che ti possano mangiare i cani) come forma di
imprecazione contro qualcuno che fa una cosa malvagia.
(Foto e materiale sono soggetti a copyright)
RITA BEVILACQUA
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